Zelensky al G-7 e il fallimento del summit svizzero
Zelensky ha fallito. Il vertice previsto in Svizzera da il 15 e 16 giugno che dovrà dibattere della sua piattaforma per la pace in Ucraina si preannuncia una débacle. Lo conferma l’annuncio di ieri della sua presenza al G-7 che si terrà in Italia nei giorni precedenti, che ha tutta l’aria di una contromossa per tentare di arginare la portata del fallimento. Gli serve una photo opportunity con Biden, che appare ancora intenzionato a non intervenire al suo summit, preferendogli una convention di donatori della California.
La disperazione del presidente ucraino è emersa in tutta la sua plasticità nel suo “Discorso ai leader mondiali alla vigilia del vertice di pace” del 26 maggio, registrato tra le rovine di una casa editrice bombardata a Kharkov, nel quale ha invitato il presidente Biden e il presidente cinese Xi a intervenire in Svizzera.
“Per favore, fai vedere la tua leadership nel portare la pace: la vera pace, e non una pausa delle ostilità”, ha detto Zelensky rivolto a Biden. Ripetendosi il 28 maggio, quando ha affermato che l’assenza del presidente degli Stati Uniti “sarà applaudita da Putin” e aggiungendo “con tutto il rispetto, ritengo che la decisione di non partecipare al vertice non sia una prova di forza”.
Nel riferire tali querule lamentele, Strana commenta che le parole di Zelensky sottendono una “certa aria di sfida nei confronti del presidente degli Stati Uniti”.
Il punto è che il partito della guerra che sostiene Zelensky aveva puntato molto su questo summit. Nulla importando la pace in Ucraina, il vertice avrebbe dovuto mostrare l’unità del mondo contro la Russia e indurla a più miti consigli, oltre che consolidare la presa dello stesso Zelensky sull’Ucraina dopo il prolungamento più o meno legittimo del suo mandato presidenziale.
Un summit di basso profilo
Non gli è andata bene. La Cina ha già annunciato la sua defezione, come defezioni stanno arrivando da tanti altri Paesi, che si stanno modulando in varie forme, la più comune è la scelta di inviare una delegazione di basso profilo.
Poco importando la presenza dei leader europei, la cui defezione, sebbene possibile, è difficile a causa della situazione, l’unico vero successo inanellato finora da Zelensky era stato l’annuncio della presenza del presidente indiano Narendra Modi, che però è stato subito offuscato.
In una recente intervista, infatti, Modi ha affermato che “il livello di partecipazione [dell’India] sarà un prodotto della sincronizzazione, della logistica e degli impegni paralleli”. Insomma, sembra si stia preparando anche lui a inviare una delegazione.
Sempre Strana, riferisce un’altra criticità del summit, che ne palesa ancor più il fallimento. Infatti, Zelensky avrebbe voluto che i partecipanti dibattessero sui dieci punti del suo piano di “pace”, ma i Paesi aderenti gli hanno ridotto l’agenda, come ha rivelato egli stesso in una un’intervista con giornalisti del Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan.
Infatti, si parlerà di soli tre punti: la sicurezza nucleare e alimentare, lo scambio di prigionieri nel formato “tutti per tutti” e il ritorno dei bambini ucraini portati in Russia. “Pertanto, i punti principali della ‘formula di pace’ – il ritiro delle truppe russe ai confini del 1991, il pagamento delle riparazioni e la punizione dei responsabili dei crimini di guerra – sono esclusi dall’equazione”.
Alla fine, le delegazioni pervenute saranno costrette a sorbirsi i discorsi di Zelensky, gli daranno qualche pacca sulla spalla, firmeranno qualche verbale di circostanza con la solennità del caso e se ne torneranno a casa a fare di meglio.
Le tensioni tra la Casa Bianca e Zelensky
Quanto alle tensioni tra Zelensky e amministrazione Usa, ne ha parlato anche il Washington post (nella sintesi di Strana), che ha rivelato un ulteriore motivo di frizione, cioè che Zelensky sta eliminando alcuni funzionari ucraini di alto livello più vicini a Washington perché si erano impegnati a lottare contro la corruzione, tra cui il vice-primo ministro Alexander Kubrakov,
Al di là delle veridicità delle motivazioni addotte dal Washington Post, che suscitano l’ironia del caso, resta però l’insolita quanto significativa epurazione di personalità prossime agli States.
Dell’alta tensione tra Usa e Kiev ne ha scritto anche il Financial Times, che ha riportato la confidenza di un alto funzionario ucraino: “‘Siamo più distanti che mai da quando è iniziata la guerra. È molto, molto teso’”.
Certe tensioni non fanno bene alla salute, come ha tristemente appreso il presidente del Vietnam del Sud al tempo della guerra vietnamita. Un classico dei finali di partita, anche se la chiusura della guerra resta ancora oltre l’orizzonte degli eventi. Vedremo.