Le aperture di Kiev alla tregua: tattica, ma anche realtà
“Dobbiamo porre fine alla guerra il prima possibile”, ha detto Zelensky in una sorprendente intervista alla BBC ucraina, augurandosi che possa finire entro la fine dell’anno. E ciò perché nessuno è disposto ad “accettare di combattere per i prossimi dieci anni”. Se esiste un piano di pace, occorre trattare, anche con Putin se necessario, ha aggiunto.
Le parole di Zelensky hanno anticipato il viaggio del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba in Cina, dove ha incontrato il suo omologo Wang Yi per dialogare sulla crisi ucraina.
L’apertura ai negoziati e il massimalismo
Prima ancora, l’Ucraina aveva offerto alla Russia di partecipare al prossimo summit sulla pace convocato da Kiev, il terzo di tale formato dopo che il secondo, quello di giugno tenutosi in Svizzera, è naufragato miseramente, sia per l’assenza di tanti Paesi con un significativo peso geopolitico – anzitutto Cina e India – sia perché il comunicato finale è stato sottoscritto solo dai soliti noti e dai loro satelliti (e neanche tutti).
Al di là del particolare, Mosca ha ritenuto poco serio l’invito al prossimo summit, da cui il niet. E ciò perché, mentre da una parte riceveva l’invito, dall’altra non percepiva alcun cambiamento di linea da parte dell’Ucraina e dei suoi sponsor, sempre attestati su posizioni massimaliste quanto irrealistiche.
Mosca ha detto chiaramente che ormai considera i territori conquistati all’Ucraina come parte della Federazione russa, una linea sulla quale non può recedere dopo che numerose proposte di tregua/pace avanzate da essa sono state respinte al mittente (al massimo può addivenire a compromessi).
Ma l’intervista del 21 luglio di Zelensky è qualcosa di diverso dalle usuali trovate propagandiste. L’avvicinarsi delle elezioni americane, la possibilità che sia Trump a vincerle o che una nuova amministrazione democratica possa cambiare rotta sull’Ucraina è reale.
Senza contare il fatto che la situazione del teatro di guerra si fa sempre più difficile per Kiev: le sue forze vengono triturate giorno dopo giorno, così che la possibilità di un improvviso collasso del fronte non è affatto aleatoria, in particolare se la Russia decidesse di affondare il colpo, cosa che finora ha evitato di fare. Ciò potrebbe spiegare la nuova posizione delle autorità di Kiev.
I rischi della trattativa
Ma tante sono le incognite. Anzitutto, la Costituzione, nella quale è stato improvvidamente inserito il divieto di trattare con la Russia finché c’è Putin. Non un ostacolo da nulla, dal momento che, in base a tale follia, se davvero si arrivasse a siglare un trattato di pace russo-ucraino, potrebbe essere ritenuto nullo da un eventuale successore di Zelensky.
Poi c’è il rischio, molto alto in realtà, che Zelensky, se davvero decidesse di trattare, possa subire ritorsioni. Lo ha detto a suo modo anche il sindaco di Kiev Vitali Klitschko, suo oppositore politico, che, commentando la possibilità di una cessione dei territori, ha parlato, di un “suicidio politico“, che può essere evitato solo tramite un referendum popolare (in realtà, date le circostanze e i tanti interessi in gioco, è davvero difficile pensare che una tale consultazione possa essere libera da influenze nefaste).
Tante, dunque, le incognite sulla via del negoziato e altissimi i rischi per Zelensky, che dovrebbe contare, per difendersi, soprattutto su quanti oggi spingono per i negoziati, finora trattati come nemici e, come tali, ferocemente avversati. E, ironicamente, anche su Putin, al quale verrebbe ovviamente ascritto il suo eventuale assassinio.
Chissà se Viktor Orbán e Donald Trump, che hanno parlato a Zelensky di recente, non abbiano tentato di rassicurare il presidente ucraino su tale perigliosa prospettiva. Non stupirebbe, anche perché il solo fatto di aver ribadito a lui le loro più che note posizioni sulla guerra, lo qualifica come interlocutore.
Aperture tattiche
All’apertura di Kiev ai negoziati ha dedicato un articolo Strana, di cui, nulla importando la parte iniziale (troppo sciocca), è però interessante la conclusione.
Riportiamo: “Esiste anche una interpretazione secondo la quale le dichiarazioni delle autorità ucraine sulla loro disponibilità a negoziare per porre fine alla guerra non riflettono le reali intenzioni di Kiev, ma sono solo una mossa tattica – una risposta alle crescenti richieste nel mondo (principalmente dal sud del mondo [e di parte dell’Occidente ndr.]) per una fine anticipata della guerra. E anche in risposta al rafforzamento dei sentimenti che circolano all’interno dell’Ucraina. Vogliono dimostrare che noi siamo per la pace, ma Putin è contrario e rifiuta di venire al vertice. Pertanto, le richieste [di pace] vanno indirizzate a lui”.
Probabilmente vero, ma è vero anche quel che abbiamo rilevato in precedenza, cioè che sia un modo per prendere tempo e vedere cosa accade nel mondo, dal momento che sia l’appressarsi delle elezioni americane che le tante incognite che gravano sul Medio oriente possono mutare notevolmente il quadro geopolitico globale, con l’Occidente che, volente o nolente, vada a cambiare posizione rispetto all’Ucraina.
Il riposizionamento di Kiev, potrebbe cioè essere anche una tattica per affrontare le incognite future da una prospettiva diversa, nel tentativo di evitare di essere travolti nel caso di un rivolgimento che ponga le basi per chiudere questo sanguinoso capitolo delle guerre infinite.