Missili a lungo raggio a Kiev: il mondo in bilico
L’11 settembre il ministro degli Esteri David Lammy e il segretario di Stato americano Antony Blinken sono sbarcati a Kiev, “la prima visita congiunta in assoluto di un ministro degli Esteri del Regno Unito e di un segretario di Stato americano, che evidenzia l’incrollabile determinazione del Regno Unito e degli Stati Uniti a sostenere l’Ucraina”, come si legge nel comunicato ufficiale del governo britannico.
Data simbolica quella scelta dai due, che rinnoverebbe i fasti dell’11 settembre 2001, perché l’11 settembre 2024 potrebbe essere ricordato come il giorno in cui ebbe inizio la terza guerra mondiale. Infatti, la visita aveva diversi scopi.
Anzitutto tenere ferma la barra della guerra, ribadendo che l’asse anglosassone non vuole che abbia termine e, in parallelo, tentare di sbloccare la querelle sull’invio di missili a lungo raggio all’Ucraina, che potrebbe aprire l’apocalittico scenario evocato.
L’America divisa
I due, infatti, si faranno portavoce presso i rispettivi governi delle richieste di Kiev, nel tentativo di convincere Biden, che sta frenando sul punto, a cedere. Tante le pressioni che sta subendo il presidente Usa in tal senso, con un braccio di ferro che si rispecchia anche all’interno dell’amministrazione.
Lo spiega, tra gli altri, il Financial Times, che, dopo aver dato conto della dichiarazione di Biden, il quale martedì ha detto che il placet all’uso dei missili è oggetto di “valutazione”, aggiunge: “L’ammissione di Biden arriva mentre il suo governo è diviso sulla questione se consentire o meno l’uso degli armamenti statunitensi, con il Dipartimento di Stato, più recettivo alle richieste dell’Ucraina, contrapposto al Pentagono e alla comunità dell’intelligence statunitense”.
Non per nulla è stato il Segretario di Stato a recarsi a Kiev, visita importante sia per le ragioni succitate sia perché Blinken voleva rassicurare Zelensky sul fatto che aveva ancora sponde in America, dopo che al recente summit di Ramstein il Capo del Pentagono aveva espresso il suo niet alle richieste del presidente ucraino ed espresso pessimismo sulle possibilità di vittoria di Kiev.
Pessimismo ribadito ieri dal portavoce del Pentagono Patrick Ryder: “Vorrei rimandarvi alle parole del Segretario alla Difesa [Lloyd] Austin a Ramstein della scorsa settimana, quando ha sottolineato che non esiste alcuna capacità, […] nessuna soluzione miracolosa che possa consentire all’Ucraina di avere successo”.
La visita di Blinken era necessaria anche a evitare che il loro agente a Kiev non subisse rovesci in patria, dove tanti aspettano da tempo l’occasione propizia per defenestrare Zelensky (e una presa di distanza degli Usa è occasione ghiotta). Perché la guerra prosegua serve che Zelensky resti al potere.
Obiettivi mirati, ma neanche tanto
Importante ricordare che nel summit di Kiev, come spiega Strana, Zelensky ha consegnato a Blinken “un piano dettagliato su come l’Ucraina potrebbe utilizzare missili a lungo raggio sul territorio russo e un elenco di obiettivi specifici”.
Più che probabile che la lista sia in realtà made in Usa, ma è particolare secondario. Invece è importante evidenziare la strategia, peraltro alquanto banale, sottesa a questa iniziativa ucraina.
L’idea è quella di far passare il placet all’utilizzo di tali armi solo per obiettivi mirati, escludendo obiettivi civili o altamente simbolici, come ad esempio Mosca e soprattutto il Cremlino, e ad alto rischio, quali i siti di interesse nucleare, ad esempio le centrali atomiche o i siti dei missili a testata atomica.
L’America sarebbe cioè chiamata a dare luce verde a un innalzamento del livello dello scontro attraverso un’escalation controllata, al modo di quanto ha fatto per l’invio degli Himars, dei carri armati o degli F-16. In tal modo potrebbe dire al mondo che si tratta di un passo necessario alla difesa dell’Ucraina che però evita di innescare una guerra con la Russia.
Va da sé che la Russia non può accettare tale follia, anche perché sa perfettamente, dati i precedenti, che l’Ucraina deraglierebbe dai binari tracciati colpendo altrove, con l’America pronta a dire che non ne sapeva nulla e a esprimere la sua disapprovazione verbale senza alcun esito reale.
Starmer come Blair
In subordine rispetto al placet americano all’uso dei suoi missili, la possibilità che dia luce verde all’uso degli analoghi missili francesi e britannici. Placet necessario sia perché parte dei componenti di tali vettori sono made in Usa sia, soprattutto, perché serve la copertura politica di Washington all’iniziativa incendiaria di Londra e di Parigi, che non possono affrontare la Russia da sole.
Tale opzione era sottesa alla presenza a Kiev, accanto a Blinken, del ministro degli Esteri britannico. Londra si dimostra ancora una volta mosca cocchiera dei disastri globali.
Lo fu al tempo dell’invasione irachena, con Tony Blair a dare l’ultimo strattone all’imbelle George W. Bush perché desse il via all’operazione, lo è adesso con il premier Keir Starmer, non per nulla identificato come un novello Blair, che cerca di fare altrettanto con il senescente Biden.
Oggi il New York Times riferisce che sarà proprio questa la strada che va a dischiudersi, con Biden che dovrebbe dare il via libera all’uso dei vettori britannici e francesi dopo il colloquio con Starmer. Biden finora ha frenato, ma potrebbe non essere in grado di resistere. Il mondo è in bilico, stanno giocando col fuoco. Un fuoco atomico.
Putin, infatti, ha avvertito che per usare i missili a lungo raggio servono personale e sistemi di guida Nato, dal momento che Kiev non ha competenze e apparecchiature adeguate, da cui un ingaggio diretto della Nato nel conflitto. Ciò comporterà una reazione. Una dinamica inevitabile.