Beirut Sud: non una roccaforte di Hezbollah, ma un quartiere abitato
Continuano i bombardamenti israeliani contro l’area meridionale di Beirut, zona nota come Dahiya, e continuano a morire civili. Nella propaganda si ripete il refrain dell’attacco mirato nel “cuore della roccaforte di Hezbollah a Beirut”, come annota The Intercept. Una narrazione che evoca “immagini di un’operazione diretta contro un complesso militare ben protetto, qualcosa di simile al Pentagono”.
“[…] Quasi sempre, quando si riportano notizie da Beirut sud, i media occidentali ripetono a pappagallo la narrazione dell’esercito israeliano, come se l’espressione ‘roccaforte di Hezbollah’ avesse a che fare con il nome del quartiere. Quanti usano questa espressione potrebbero benissimo parlare di ‘roccaforti’ in merito ai sostenitori del partito democratico o del Labour del Regno Unito”, ma non è così, ovviamente.
Le bombe su Beirut Sud
” […] Considerare Beirut sud, colloquialmente nota in arabo come Dahiya, come una roccaforte militare, dà a Israele la licenza di usare una forza massiccia, di prendere di mira le infrastrutture civili come qualcosa di inscindibile dal suo attacco, proprio come fa quando prende di mira i leader di Hezbollah. L’obiettivo dichiarato è quello di scoraggiare attacchi futuri colpendo l’area in cui si concentrano i sostenitori di Hezbollah. Israele fa pagare ai civili il prezzo per qualsiasi azione di Hezbollah e successivamente incolpa Hezbollah per le morti che essi provocano”.
“La strategia ha persino un nome: la Dottrina Dahiya, coniata dopo che Israele ha quasi distrutto quell’area nella guerra del 2006 contro Hezbollah. [Tale dottrina] sarebbe assurta a modus operandi di Israele nelle guerre successive assurgendo a tabella di marcia per l’attuale distruzione totale di Gaza”.
“Adesso, mentre accelera l’escalation israeliana contro il Libano, la Dottrina Dahiya sta tornando a casa, giustificata dalla narrazione che indica l’area come una ‘roccaforte’ di militanti”.
Al contrario, scrive The Intercept. “Dahiya è un insieme di quartieri per lo più musulmani sciiti, appena fuori dai confini della città di Beirut, nella quale vivono centinaia di migliaia di persone. È molto più densamente popolata della capitale vera e propria. All’interno di Dahiya, si trovano diversi campi profughi palestinesi e di altri gruppi, ed è molto più densamente popolata dei comuni che la circondano”.
“Negli anni ’80, durante la guerra civile durata 15 anni, la zona fu oggetto di massacri da parte di paramilitari cristiani libanesi di destra sostenuti da Israele. Dahiya subì poi un’altra immane strage nel 2006, quando fu soggetta ai massicci bombardamenti israeliani durante la guerra tra Israele e Hezbollah”.
La Dottrina Dahiya
“[…] Sebbene il nome ‘Dottrina Dahiya’ sia stato coniato successivamente, subito dopo la guerra, i funzionari militari israeliani parlarono apertamente del loro approccio a Dahiya e dichiararono esplicitamente che era loro intenzione non fare distinzioni tra infrastrutture civili e militari”.
“In un’intervista del 2008, il generale israeliano Gadi Eisenkot, che ha contribuito a formulare la dottrina, ha chiarito che gli attacchi sproporzionati contro le infrastrutture civili erano parte di una strategia, non un effetto indesiderato“.
“‘Ciò che è accaduto al quartiere Dahiya di Beirut nel 2006 accadrà in ogni villaggio da cui Israele verrà colpito’, disse. ‘Applicheremo una forza sproporzionata [contro quel villaggio] e provocheremo immani danni e distruzione. Dal nostro punto di vista, questi non sono villaggi civili, sono basi militari’. E ha concluso: ‘Questa non è una raccomandazione. È un piano. Ed è stato approvato'”.
“Le vite dei libanesi sono sacrificabili nella lotta contro Hezbollah, chiaro e semplice [in realtà, più che sacrificabili, necessarie ndr]. Le ripercussioni di questo cambiamento esplicito sono ancora più evidenti in quanto accade nella Striscia di Gaza”, dove tutte le infrastrutture – scuole, ospedali, perfino panifici (Reuters) – sono stati trattati come obiettivi militari. “La rinascita della Dottrina Dahiya in Libano usa la stessa logica: qualsiasi cosa ha a che fare con Hezbollah diventa automaticamente un obiettivo militare nell’accezione più ampia possibile”.
“I media occidentali, però, non tollererebbero assolutamente questo tipo di linguaggio se usato contro gli israeliani. Nessun organo di stampa americano prenderebbe mai seriamente in considerazione l’argomento secondo cui le Forze di difesa israeliane [IDF] stanno usando ‘scudi umani’ perché hanno il loro quartier generale al centro di Tel Aviv”.
“Le IDF, per parte loro, hanno reagito all’attacco di un drone yemenita a Tel Aviv con un’immagine della zona che mostrava la vicinanza [dell’obiettivo militare] a importanti infrastrutture civili e ne hanno condannato l’imprudente collocazione, senza cogliere nessuna ironia”.
“La logica di tale narrazione è chiara: cancellare l’esistenza di luoghi, città, paesi e quartieri come Dahiya, non più considerati come vivaci centri abitati, con complessità politiche come tanti altri posti, ma soprattutto come case nelle quali trascorrono le loro giornate milioni di persone”. “[…] Dahiya, con tutta la sua gente, non dovrebbe dimostrare al mondo la sua appartenenza all’umanità. Dovrebbe essere un dato di fatto“.
La tregua accettata e subito rigettata
Di ieri il piano americano, appoggiato da tante nazioni, per una tregua di 21 giorni per lasciare spazio alla diplomazia. Netanyahu aveva accettato, ma poi ha fatto retromarcia per paura che i suoi alleati facessero cadere il suo governo (Haaretz).
L’esistenza di una trattativa sottotraccia, non ancora decaduta del tutto, spiega perché Hezbollah stia trattenendo il proprio potenziale. Su tale atteggiamento avevamo scritto in una nota pregressa, con conferma successiva del Washington Post: “Per ora Hezbollah sembra poco incline a lanciare un attacco totale, nonostante Nasrallah abbia promesso una ferma risposta alla recente escalation di Israele. [Hezbollah] ‘sta ancora giocando secondo le regole’, ha detto Mohanad Hage Ali, autorevole esponente del Carnegie Middle East Center di Beirut“.
“‘Stanno minimizzando’ gli attacchi, ha aggiunto Hage Ali, perché temono ‘rappresaglie’, ma soprattutto, aggiungiamo, perché tale sviluppo incenerirebbe ogni possibilità di tregua. ‘È una linea sottile quella che stanno percorrendo, che sta offrendo a Israele un grande spazio di manovra per definire il campo di battaglia’. Ora è così, ma se le cose cambiano… le autorità israeliane sembrano preda, tra le altre cose, dalla sindrome di Masada. Ci torneremo.