Libano, Gaza: fame e bombe. Il caos creativo che uccide
Con l’attenzione internazionale concentrata sul Libano, l’imminente attacco israeliano all’Iran e sull’aggressione alle forze di pace delle Nazioni unite al confine libanese, Gaza è uscita dall’orizzonte mediatico.
Lo osserva Ishaan Tharoor sul Washington Post, aggiungendo: “Gli eventi degli ultimi giorni ci ricordano la duratura calamità che rappresenta il ground zero dello scontro regionale. La parte settentrionale di Gaza, già martoriata da un anno di guerra disastrosa, è preda di una nuova e punitiva offensiva israeliana. Le forze israeliane hanno circondato il campo profughi di Jabalya” per eradicare Hamas.
L’area è stata chiusa e “a nessuno è permesso entrare o uscire: chiunque ci provi verrà colpito”, come dice al WP Sarah Vuylsteke, coordinatrice di Medecin sans frontieres. Inoltre, Israele, da agosto, “ha gradualmente ridotto gli aiuti che arrivavano nella parte settentrionale di Gaza. A ottobre nessun non è arrivato nessun camion di alimenti“.
Nord di Gaza: chi resta, muore
“Tale tattica potrebbe alimentare ulteriori accuse sul fatto che Israele stia deliberatamente facendo morire di fame i palestinesi a Gaza – prosegue Tharoor – ‘Non capisco davvero quale sia l’obiettivo strategico per quanto riguarda il Nord’, ha detto ai miei colleghi Michael Milshtein, un ex funzionario dell’intelligence israeliana, aggiungendo che se i residenti del nord di Gaza scelgono di non andarsene – e molti potrebbero non farlo, data la convinzione diffusa che nessun posto a Gaza è davvero sicuro – ‘moriranno di fame'”.
Le Nazioni Unite hanno avvertito che “Israele ha tagliato le ‘linee vitali critiche’ della parte settentrionale di Gaza. In alcuni casi, agli ospedali sovraffollati è stato ordinato di evacuare i pazienti, compresi i neonati in terapia neonatale. Un rapporto delle Nazioni Unite della scorsa settimana ha denunciato la ‘politica programmatica’ di Israele per ‘distruggere il sistema sanitario di Gaza’ come parte della guerra contro Hamas”.
“[…] ‘È chiaro che esiste un nuovo piano per sfollare con la forza le persone dal nord di Gaza evacuando l’intero sistema sanitario’, ha detto ai miei colleghi Hussam Abu Safiya, direttore dell’ospedale Kamal Adwan”. Insomma, secondo Tharoor (e non è solo), si starebbe attuando il cosiddetto “piano dei generali”, che “prevede che tutti i residenti della parte settentrionale di Gaza vengano evacuati in zone umanitarie a sud; quanti invece decideranno di rimanere saranno considerati operativi di Hamas e quindi legittimi obiettivi militari“, come ha scritto Haaretz.
“[…] La distruzione delle aree urbane e il controllo militare a tempo indefinito di Gaza – prosegue Tharoor – potrebbero essere un preludio a nuove ondate di annessione”. Netanyahu, cioè, avrebbe fatto proprie le pulsioni della destra messianica che sostiene il suo governo. Non meraviglia: all’inizio dell’invasione aveva citato non a caso Amalek, il popolo che Israele sterminò nell’antichità.
Libano: di bombe e regime-change
Mentre si susseguono le stragi a Gaza, altre se ne registrano in Libano, con Israele che ha allargato il campo delle sue operazioni bombardando “Aitou, un villaggio [cristiano] maronita vicino alla città settentrionale di Tripoli […] uccidendo 21 persone”.
Lo riporta il Guardian, che prosegue: “Aitou è lontano dai centri di comando di Hezbollah che si trovano a Beirut, nel sud e nell’est del paese. Il sindaco del villaggio, Joseph Trad, ha detto alla Reuters che l’edificio era stato affittato a famiglie sfollate a causa della guerra. L’attacco è stato uno dei tanti che nelle ultime due settimane hanno preso di mira aree considerate ‘sicure'”.
L’ampliamento delle operazioni, prima limitate al Sud controllato da Hezbollah, potrebbe portare a coinvolgere tutto il Libano nella guerra. Uno sviluppo probabilmente generato dalla frustrazione. Israele, sicuro di aver degradato Hezbollah, riteneva di poter invadere il paese dei cedri con relativa facilità, come da propaganda mediatica iniziale. E che Hezbollah non fosse più in grado di lanciare attacchi significativi contro il suo territorio.
Invece, le sue truppe si trovano ancora al confine o poco oltre, con incursioni via terra che finiscono sotto il fuoco nemico e conseguente ritirata. Deve rivedere i piani e una modalità per riprendere l’iniziativa potrebbe essere quella di innescare un regime-change usando le divisioni religiose e politiche libanesi. La paura e la destabilizzazione diffusa da bombardamenti non circoscritti alle aree controllate da Hezbollah può favorire tale sviluppo.
Quanto al regime-change, Tel Aviv si muove in combinato disposto con l’America, che ci sta lavorando apertamente. The Cradle riferisce che la Cia ha inviato a tale scopo una task force a Beirut, con il compito ausiliare di raccogliere informazioni su Hezbollah, da girare ovviamente all’alleato mediorientale. Cose già viste al tempo della guerra civile libanese. Non gli andò molto bene, allora.
Hezbollah non è stato degradato
Infine, vanno registrati gli attacchi a lungo raggio di Hezbollah contro obiettivi militari nel profondo di Israele, che hanno causato vittime e sorpreso la controparte. Un modo per segnalare che ha ancora frecce al suo arco e comunicare che all’ampliamento degli attacchi contro il Libano seguirà un ampliamento degli attacchi contro Israele.
La milizia sciita, infatti, ha dichiarato che se gli attacchi di Tel Aviv proseguiranno, l’intera area di Haifa subirà la sorte di Kiryat Shmona, cittadina di confine presa di mira al punto da costringere tutti gli abitanti a sfollare. Hezbollah sta usando una tattica graduale e colpendo solo obiettivi militari, una strategia di basso profilo che intende evitare che Israele sfrutti eventuali stragi di civili, pure possibili e sempre all’orizzonte, per portare in guerra i suoi alleati.
Quanto alla guerra in corso, tanti la identificano come un’aggressione contro Israele che è stato costretto a rispondere, spesso dimenticando che tutto è iniziato a Gaza e tutto poteva finire con un accordo con Hamas, che Netanyahu ha sabotato.
Pochi ricordano, però, che dopo il 7 ottobre 2023, ma ben prima dell’invasione di Gaza del 27 ottobre, il ministro della Difesa israeliano Yaov Gallant, e parte dell’establishment, avevano spinto per un attacco preventivo contro Hezbollah: lo aveva chiesto l’11 ottobre, con Netanyahu che l’aveva rifiutato per evitare di aprire due fronti (ABC news, 6 dicembre 2023). Ma Hezbollah sapeva perfettamente che l’attacco era solo rimandato e che, chiusa la guerra di Gaza, sarebbe stato il suo turno, come sta avvenendo.
Così decise di attivarsi in parallelo con Hamas anche, e forse soprattutto, nella speranza che ciò favorisse la chiusura del conflitto di Gaza ed evitasse tale sviluppo. Non è andata così. La dialettica aggredito – aggressore, tanto di moda ultimamente, ha tante declinazioni, soprattutto in Medio oriente dove il “caos creativo” neocon dilaga.