Haaretz: Israele non riesce a fermarsi
“‘Così funziona in guerra’, dicono quanti cercano scuse per spiegare le uccisioni di massa a Gaza, gli attacchi all’ingrosso contro donne, bambini e anziani e la devastazione assoluta e totale. Proprio come il concetto di ‘contesto’, l’espressione ‘così funziona in guerra’ è un privilegio riservato solo a Israele. Chiunque osi commentare gli atti commessi da Hamas il 7 ottobre dicendo “così funziona in guerra” si guadagnerà a dir poco l’insulto di traditore”. Così Carolina Landsmann su Haaretz.
“Nascondere alla vista dell’opinione pubblica israeliana le immagini della distruzione totale provocata da Israele a Gaza e il tabù di parlarne in pubblico sono l’altra faccia della medaglia, che comporta un voluto surplus di immagini e descrizioni grafiche di ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Mentre gli israeliani restano indifferenti alla distruzione di Gaza, sono costantemente e compulsivamente immersi in testimonianze che attestano la loro condizione di vittime”.
“[…] Israele agisce da oltre un anno in modalità Giorno della Memoria dell’Olocausto. Foto e testimonianze del 7 ottobre hanno sostituito la mole di immagini dai campi [di sterminio] e le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto, ma la colonna sonora è la stessa, così come l’intento emotivo. E non si sta placando. Al contrario: si sta intensificando.
Gli erronei parallelismi tra l’Olocausto e il 7 ottobre
“[…] Insistiamo nel tracciare parallelismi tra la morte in un rogo di una stanza di sicurezza con quella consumata in una camera a gas; tra i bambini delle comunità di confine di Gaza che si nascondevano in un armadio e Anna Frank, anche se, confrontando l’Olocausto al 7 ottobre, è difficile pensare a eventi storici più diversi nelle loro finalità e nel contesto generale”.
“Un indizio: ora abbiamo uno Stato. Un altro indizio: siamo una potenza militare. Un ulteriore indizio: il reattore di Dimona. L’ultimo: il conflitto israelo-palestinese”.
“Ci si potrebbe convivere se la disposizione collettiva si limitasse all’autocommiserazione. Anche se non è salutare, questo infinito Giorno della Memoria dell’Olocausto avrebbe potuto essere frenato. Ma mentre soccombiamo alla condizione di vittime, noi, tramite le Forze di Difesa Israeliane, stiamo colpendo il nostro aggressore con tutte le nostre forze, colpendo il suo volto sanguinante, crivellando il suo corpo di proiettili anche dopo che è morto da tempo per mano nostra”.
Israele è preda di una frenesia irrefrenabile
Se ci trovassimo a guardare un film, continua la cronista, un amico ci prenderebbe la mano e, “per farci uscire dal trance”, ci urlerebbe: “Basta, è morto”. Ma “Israele non riesce, e potrebbe non riuscirvi mai, a sapere quando è sufficiente, a sapere come arrivare da solo alla conclusione che è ora di fermarsi. Il fatto che sia determinato a continuare la guerra e persino a estenderla all’Iran dopo la morte di Sinwar, l’architetto del 7 ottobre, il nostro nemico perfetto, rafforza la sensazione che Israele non abbia la forza interiore necessaria per fermarsi. Non sa quando fermarsi. ‘Non ho ucciso abbastanza’, per parafrasare una canzone”.
“Israele sta combattendo come se fosse in preda a una frenesia generata dall’ansia. Non c’è nessun numero di successi militari e di vittime che gli possa dare un senso di vittoria. Allo stesso tempo, sta mettendo in atto un meccanismo che crea costantemente ansia, alla maniera dello Yad Vashem Holocaust Remembrance Center. Questa è una combinazione pericolosa. Se Israele non viene fermato, si abbufferà fino alla morte di sangue palestinese”.
La durissima condanna dei rabbini, il grido disperato di B’Tselem
Fin qui la Landsmann (i titoletti sono nostri). Se Israele si salverà non sarà per le armi né per la sua implacabile determinazione che tanti lutti stanno arrecando, ma per persone come la Landsmann. Non è l’unica, tanto ebraismo, in Israele e altrove, rigetta gli orrori di Gaza e della Cisgiordania.
Due soli esempi, ma se ne potrebbero fare molti di più. Così il Consiglio Rabbinico di Jewish Voice for Peace: “Come rabbini abbiamo assunto la sacra responsabilità di proteggere la nostra antica tradizione, di sostenere la nostra comunità e di offrire una guida morale in mezzo alla crisi. Ci troviamo in un momento storico orribile. Molti di noi hanno genitori, nonni e bisnonni sopravvissuti o morti nelle marce della morte naziste e siamo tutti cresciuti all’ombra dell’Olocausto nazista. Lo stato di Israele sta attualmente perpetrando un Olocausto, il deliberato massacro di massa del popolo palestinese, con armi fornite dagli Stati Uniti”.
“Le foto e i video che arrivano da Gaza Nord riecheggiano in maniera terrificante immagini fin troppo familiari di ghetti europei e campi di concentramento nazisti della seconda guerra mondiale. I campi [di sterminio] nazisti erano nascosti al mondo invece, come scrive Susan Albuhawa, ‘Israele sta commettendo l’Olocausto del nostro tempo e lo sta facendo sotto gli occhi di un mondo apparentemente indifferente’. Oggi siamo al fianco dei nostri antenati, solidali con i nostri fratelli palestinesi e chiediamo un immediato embargo delle armi e la fine del genocidio: non agiremo con indifferenza verso la sofferenza palestinese”.
“Non c’è tempo da perdere e non c’è spazio per l’ambiguità. Dobbiamo chiamare le azioni del governo israeliano con il loro vero nome: genocidio”.
Così, invece, B’Tselem, in un report dal titolo Il mondo deve fermare la pulizia etnica del nord di Gaza: “La portata dei crimini che Israele sta attualmente commettendo nella Striscia di Gaza settentrionale nella sua campagna per svuotarla di tutti i residenti rimasti è impossibile da descrivere, non solo perché centinaia di migliaia di persone soffrono la fame, le malattie, non hanno accesso alle cure mediche e soffrono sotto bombardamenti incessanti e i colpi di armi da fuoco che sfidano ogni comprensione, ma perché Israele li ha tagliati fuori dal resto del mondo”.
“Da quando è iniziata l’attuale operazione di Israele nella Striscia di Gaza settentrionale il 5 ottobre, la zona è in uno status di assedio quasi totale, martellata senza sosta dai militari. Salvo casi eccezionali, Israele non consente l’ingresso di aiuti umanitari o di squadre di emergenza, approfittando del fatto che l’attenzione globale è stata deviata per cambiare in maniera irreversibile la realtà sul territorio”.