Gaza. Amos Goldberg: dalla legittima difesa, il genocidio
Nella notte, altri 50 bambini sono stati uccisi a Gaza. Cronaca nera ormai abituale. Dalia Scheindlin, su Haaretz, spiega come la parola genocidio per descrivere gli orrori di Gaza non è più solo appannaggio del mondo arabo o di qualche voce isolata d’Occidente, ma è ormai oggetto di dibattito anche nei think tank ebraici.
Certo, c’è stato il 7 ottobre, e tanto Occidente legittima quanto avviene come diritto all’autodifesa. Ma la giustificazione non regge, come annotava già sei mesi fa Amos Goldberg, docente presso l’Università di Gerusalemme, in un articolo nel quale dettagliava come tutti i genocidi della storia moderna si siano consumati all’ombra della legittima difesa.
“Sì, è un genocidio. – scriveva Golberg – Sebbene sia così difficile e doloroso ammetterlo e nonostante tutti gli sforzi per pensarla diversamente, dopo sei mesi di guerra brutale non è più possibile sfuggire a questa conclusione. La storia ebraica sarà ormai macchiata dal segno di Caino del ‘crimine dei crimini’, che non potrà essere più cancellato dalla sua fronte”.
“[…] Ci vorranno anni prima che il tribunale dell’Aja emetta il suo verdetto, ma non dovremmo guardare alla catastrofica realtà solo attraverso delle lenti legali. Ciò che sta accadendo a Gaza è un genocidio perché il livello e il ritmo degli omicidi indiscriminati, della distruzione, delle deportazioni di massa, degli sfollamenti, della fame, delle esecuzioni, dell’eliminazione delle istituzioni culturali e religiose, dell’eliminazione delle élite (compresi gli omicidi dei giornalisti) oltre alla totale disumanizzazione dei palestinesi – creano un quadro complessivo di genocidio, di annichilimento intenzionale e consapevole dell’esistenza della popolazione palestinese di Gaza”.
Gaza non esiste più
“[…] la Gaza palestinese come complesso geografico-politico-culturale-umano non esiste più. Il genocidio è la distruzione deliberata di un collettività o di una parte di essa, non di tutti i suoi individui. E questo è ciò che sta accadendo a Gaza. Il risultato è senza dubbio genocida. Le numerose dichiarazioni di sterminio da parte di alti funzionari del governo israeliano e l’atmosfera generale distruttiva dilagata nell’opinione pubblica […] dimostrano che [nella guerra] c’era anche tale intenzione”.
“Gli israeliani sbagliano nel pensare che il genocidio debba somigliare all’Olocausto. Immaginano treni, camere a gas, inceneritori, fosse comuni, campi di concentramento e di sterminio e una persecuzione sistematica di tutti gli appartenenti a una determinata comunità, fino all’ultimo uomo. A Gaza non avviene questo”, né i palestinesi sono eliminati “a causa di un’ideologia folle e irrazionale” come il nazismo. Ma ciò non toglie che sia genocidio.
Certo, proseguiva Goldberg, l’attacco del 7 ottobre “ha costretto Israele ad agire per legittima difesa. Tuttavia, sebbene ogni tipo di genocidio abbia un carattere diverso, in termini di numeri di vittime e per caratteristiche peculiari, il denominatore comune della maggior parte di essi è che sono stati commessi per una percezione reale di agire per legittima difesa. Ma dal punto di vista giuridico, un evento non può essere allo stesso tempo legittima difesa e genocidio. Queste due categorie giuridiche si escludono a vicenda. Eppure storicamente l’autodifesa non è in contrasto con il genocidio, anzi di solito ne è uno dei fattori centrali, se non il principale”.
Così a Srebrenica, quando i serbi-bosniaci, in minoranza nel nuovo Stato a maggioranza islamica di Bosnia, si sentirono minacciati a motivo di una lunga storia di oppressione e persecuzioni da parte dei musulmani. Nella guerra che ne seguì, in cui entrambe le parti consumarono crimini di guerra, “la complessità del conflitto, in cui nessuna delle due parti era innocente, non ha impedito al Tribunale di riconoscere il massacro di Srebrenica come un atto di genocidio”.
Ruanda e Rohingya
Così in Ruanda, dove il conflitto etnico tra hutu e tutsi, inquinato dalle manovre dai padroni ex coloniali, raggiunse l’apice nel 1993 con l’abbattimento dell’aereo del presidente ruandese, di etnia Hutu, di ritorno da Arusha dove aveva appena firmato un accordo che avrebbe riportato la pace.
“Gli Hutu – scriveva Goldberg – erano convinti che il crimine fosse stato commesso dalle milizie clandestine tutsi e fu percepito come una grave minaccia per lo Stato. Il genocidio dei tutsi era in corso. La motivazione ufficiale del genocidio era la necessità di rimuovere una volta per tutte la minaccia esistenziale dei tutsi”.
E così il genocidio in Myanmar, con l’etnia dei Rohingya reduce da una lunga e dolorosa oppressione che portò alcuni di essi, nel 2016, ad “attaccare diverse stazioni di polizia” scatenando “una reazione brutale” fatta di omicidi e deportazioni di massa, che il Segretario di Stato Usa Anthony Blinken, nel 2022, definì formalmente come genocidio, “l’ottavo genocidio riconosciuto dagli Stati Uniti, dopo l’Olocausto” (quel Blinken ora complice del genocidio di Gaza…).
“Il caso dei Rohingya – chiosava Goldberg – ci ricorda ciò che molti esperti di genocidio hanno stabilito […] ed è molto rilevante per il caso di Gaza, cioè la connessione tra pulizia etnica e genocidio”.
“Da un lato, la pulizia etnica è la volontà di eliminare la comunità nemica a ogni costo e senza compromessi e per questo motivo scivola facilmente nel genocidio o ne partecipa; dall’altro, la pulizia etnica crea solitamente condizioni che permettono o causano (ad esempio per malattie e fame) la distruzione parziale o completa della comunità-vittima”.
“Nel caso di Gaza, le ‘zone sicure’ si sono spesso trasformate in trappole mortali e zone di sterminio intenzionale, e in queste aree di rifugio Israele sta deliberatamente affamando la popolazione. Per questo motivo non sono pochi gli analisti che ritengono che lo scopo della guerra a Gaza sia la pulizia etnica”.
Armeni e Nama-Hororo
Goldberg passava poi ad analizzare il genocidio armeno, con la minoranza armena stanziata al confine tra Russia e impero ottomano spesso fatta segno di violenze e pogrom. Quando, agli inizi del ‘900, scoppiò la guerra tra i due imperi, gli armeni che vivevano in Russia e una parte di quelli che vivevano in terra ottomana simpatizzarono o si schierarono con i russi, visti come liberatori.
Ma ciò “agli occhi del governo ottomano, rafforzò in maniera sproporzionata la sensazione di una minaccia esistenziale . Tale sensazione di minaccia, percepita peraltro mentre l’impero era preda di una profonda crisi, fu un fattore fondamentale del genocidio armeno, che ebbe inizio, tra le altre cose, durante il processo di deportazione” (chiaro riferimento agli spostamenti forzati dei palestinesi a Gaza).
Infine, c’è il caso del primo genocidio del XX secolo, consumato dai tedeschi “contro le popolazioni Herero e Nama nell’Africa sudoccidentale (l’odierna Namibia). Come risultato della dura oppressione dei coloni tedeschi, la popolazione locale si ribellò e, in un attacco brutale, uccise circa 123 (forse più) tedeschi disarmati. La sensazione di minaccia dilagata nella piccola comunità di coloni, che contava solo poche migliaia di individui, fu reale e la Germania ebbe il timore di aver perso il suo potere di deterrenza sui nativi”. Il resto è storia, con le tribù africane uccise o fatte morire di fame.
“In tutti questi casi – concludeva Goldberg – gli autori del genocidio hanno percepito una minaccia esistenziale, più o meno giustificata, e il genocidio è arrivato come risposta a questa. La distruzione collettiva delle vittime non era affatto in contrasto con la legittima difesa, anzi nasceva da motivazioni reali di legittima difesa”.