Siria: non si arresta lo tsunami jihadista
Non si ferma l’onda di marea che sta sommergendo la Siria: dopo Aleppo è caduta Hama e ora le forze jihadiste sono alle porte di Homs. Il cerchio si stringe su Damasco, che continua a ritirare i suoi soldati e ad attestarsi su linee sempre più arretrate. Per parte sua, Erdogan ha gettato la maschera, augurando agli aggressori di prendere il controllo della capitale siriana.
I tanti attori della tragedia siriana
Sotto il controllo turco, infatti, è una delle più importanti fazioni jihadiste che stanno imperversando in Siria, il cosiddetto Esercito nazionale siriano (SNA), mentre l’altra fazione, Tahrir al-Sham, ex al Nusra cioè al Qaeda, ha un filo diretto con Israele e Stati Uniti.
Un filo neanche troppo nascosto, come denota l’intervista rilasciata da Abu Abdo alla Tv israeliana, I24. Definito dal media il comandante delle forze ribelli di Aleppo, Abdo si è detto ansioso di “cooperare” con Israele contro il “nemico comune”, cioè l’Iran e i suoi alleati regionali, da Hezbollah, Assad.
Per parte sua, la CNN ha intervistato il leader di Tharir al-Sham Abu Mohammed al-Jolani, tracciandone un ritratto agiografico pur ricordando che è un terrorista, già numero due dell’Isis etc. Inutile aggiungere.
A complicare il quadro, la presenza della fazioni curde, inquadrate per lo più nelle Forze democratiche siriane sotto la guida degli Stati Uniti, che controllano l’area nord orientale del Paese e che si sono attivate insieme ai terroristi, con gli Stati Uniti che ne hanno sostenuto l’offensiva contro alcuni villaggi e città controllate da Damasco (le forze Usa hanno dichiarato che hanno agito per difesa…).
Dopo tali scontri, l’esercito siriano ha concordato con le Forze democratiche siriane il ridispiegamento da Deir ez-Zor, lasciando la città sotto il loro controllo. Al-akbar riferisce che ciò è avvenuto attraverso un coordinamento tra le forze americane stanziate nella base di al Tanf e quelle russe, segno che i canali di de-escalation tra i presidi delle due superpotenze presenti nel Paese funzionano.
Tante le incognite: l’Iran ha dichiarato il suo sostegno ad Assad aggiungendo che le milizie sciite irachene sarebbero corse in soccorso di Damasco, cosa che sembra sia caduta nel vuoto. Secondo Middle east eye le diverse milizie sciite irachene avrebbero deciso di non intervenire per evitare di essere prese di mira da Israele.
Forse ciò spiega perché le autorità di Teheran negli ultimi giorni hanno dichiarato di valutare l’invio di truppe, ma anche questa opzione sembra ancora in stand by, o almeno non è stata ribadita tra ieri e oggi. E oggi il New York Times parla di un ritiro degli istruttori iraniani dalla Siria, ma non sappiamo se sia vero o meno, dal momento che tanta è la disinformazione su quanto sta avvenendo in Siria e Teheran non ha detto nulla in tal senso.
Il problema è anche che, se l’Iran invierà soldati, è più che probabile che saranno un target per Israele, con il rischio di un confronto diretto Teheran-Tel Aviv che potenzialmente coinvolgerà gli Usa (peraltro, la nuova amministrazione Trump è piena di falchi anti-Teheran). Per ora le forze regolari israeliane sono fuori dalla mischia, ma hanno incrementato il dispiegamento militare sulle alture del Golan in vista in un intervento, se diretto o indiretto è da vedere.
L’incontro di Doha, il nodo gordiano di Erdogan
Oggi a Doha si incontrano i ministri degli Esteri di Turchia, Iran e Russia per confrontarsi nel quadro dei negoziati di Astana avviati nel 2016 per stabilizzare la situazione siriana. Incontro importante soprattutto per valutare la posizione della Turchia, che potrebbe cambiare il quadro generale.
Per quanto riguarda la Turchia, sembra ripetersi quanto avvenuto nel settembre dello scorso anno, quando l’Azerbaigian, legato a filo doppio con Ankara, decise di attaccare il Nagorno-Karabakh per tagliare con la spada il nodo gordiano dell’attrito decennale con l’Armenia, che aveva il controllo della regione-stato e non si decideva a cedere a Baku quanto stabilito in accordi pregressi.
In Siria Erdogan cerca da tempo un accordo con Assad, con quest’ultimo a rigettarlo fin quando le forze turche fossero rimaste in Siria. A quanto pare, come accaduto per il Nagorno-Karabakh, il sultano ha deciso di tagliare con la spada il nuovo nodo gordiano. E, come avvenuto quando l’Azerbaigian invase il Nogorno-Karabakh, anche Erdogan ha trovato il sostegno di Israele.
Certo è che l’offensiva è stata preparata bene, tanto da riuscire in una settimana a conquistare gran parte del Paese. Un déjà vu di quando l’Isis – i cui miliziani protagonisti di tanti orrori sono confluiti per lo più in Tahrir al Sham, nelle Forze democratiche siriane e nell’esercito nazionale siriano (le milizie filo-turche) – ebbero il loro momento epifanico dilagando in pochi giorni in Iraq, travolgendo difese e civili.
Quadro in evoluzione, per ora dominano incertezza e paura.