30 Gennaio 2025

Trump e il forcing su Netanyahu per il cessate il fuoco

L'inviato di Trump per il Medio oriente incontra il Segretario dell'Olp e gli comunica che dovranno gestire Gaza. Poi, dopo aver supervisionato la Striscia, incontra Netanyahu
Trump e il forcing su Netanyahu per il cessate il fuoco
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Hamas libera otto ostaggi, tre israeliani e cinque thailandesi (in verità, alquanto ignorati). Tel Aviv a sua volta libera 110 prigionieri, di cui 30 bambini (sic), dopo un piccolo giallo causato dall’irritazione degli israeliani per le modalità con cui sono stati liberati i suoi cittadini – perché Hamas che ha celebrato l’accaduto come una vittoria -, rabbia che ha determinato un blocco, per fortuna momentaneo, della liberazione dei detenuti palestinesi.

La fragile tregua, pur se traballando, prosegue secondo i binari stabiliti. Resta, appunto la fragilità, che rischia di far precipitare la situazione nella fase successiva, quando lo scambio di prigionieri dovrebbe marciare in parallelo con le trattative sul ritiro israeliano e sul futuro di Gaza.

Le pressioni di Trump su Netanyahu

“L’amministrazione Trump sta lavorando per preparare il terreno per le importanti negoziazioni che inizieranno la prossima settimana sulla seconda fase dell’accordo sugli ostaggi”, scrive Jonathan Lis su Haaretz in un articolo in cui riferisce l’incontro tra l’inviato per il Medio oriente dell’amministrazione Trump, Steve Witkoff, e Netanyahu, avvenuto ieri.

Trump Is Pushing Netanyahu to Pursue Stage Two of the Israel-Hamas Deal, Despite Political Risks

“Gli americani vogliono assicurarsi che il primo ministro Benjamin Netanyahu prosegua i colloqui nonostante le implicazioni politiche che ciò potrebbe avere per il suo governo [il partito di ultradestra di Bezalel Smotrich potrebbe abbandonare la coalizione ndr.], e che agisca in modo che si arrivi alla liberazione di tutti gli ostaggi, prosegua il cessate il fuoco e [l’esercito israeliano] si ritiri dalla Striscia di Gaza”.

“La prova della pressione americana su Israele affinché porti avanti la seconda fase dell’accordo sugli ostaggi si può riscontrare nelle dichiarazioni dall’inviato speciale di Trump per la questione degli ostaggi, Adam Boehler, a Channel 12 News”.

Al canale israeliano Boehler ha dichiarato che “il suo ruolo è quello di fare tutto il possibile per sostenere le parole di Trump e liberare tutti gli ostaggi”.

“Oltre ai messaggi fermi provenienti dall’amministrazione Trump a porte chiuse, Trump ha assunto una posizione pubblica tesa ad avvicinare Netanyahu e aumentare la cooperazione tra i due”. Da qui l’invito del premier israeliano a Washington, che è stato un altro tema dei colloqui tra Witkoff e Netanyahu.

Prima di incontrare Netanyahu, Witkoff si è recato in Arabia Saudita, che ha un ruolo non secondario in quanto sta avvenendo, per poi recarsi a Gaza per monitorare da vicino l’andamento del cessate il fuoco, perché non collassasse.

Witkoff: l’Olp a Gaza

Di grande interesse quanto riporta The Cradle: “Durante la sua permanenza nella capitale Riyadh, l’inviato [Usa] ha incontrato anche Hussein al-Sheikh, il più importante consigliere del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas, nonché Segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)”.

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A quest’ultimo Witkoff ha detto “che l’amministrazione statunitense vuole che l’Autorità Nazionale Palestinese torni a gestire la Striscia di Gaza”, come ha riportato Sky News Arabia.

The Cradle continua ricordando come Hamas abbia espulso l’Olp da Gaza dopo le elezioni del 2005 (dimenticando che ciò avvenne in seguito a un tentativo di golpe di al Fatah, sostenuto da Usa e Israele, per ribaltare l’esito delle elezioni che avevano consegnato il potere ad Hamas, vedi Piccolenote, tant’è).

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Inoltre, The Cradle ricorda come Hamas e l’Olp nel corso della guerra si siano riavvicinate in prospettiva di una gestione comune della Striscia, riavvicinamento invero complicato dal fatto che in Cisgiordania le forze di sicurezza dell’Olp collaborano attivamente con i soldati israeliani contro le milizie palestinesi.

The Cradle non lo specifica, ma il riavvicinamento tra Hamas e l’Olp è avvenuto in Cina, particolare non secondario di questo complicato puzzle. Importante anche un ulteriore cenno di The Cradle, quando ricorda le dichiarazioni del primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, del 22 gennaio: “Speriamo di vedere l’Autorità Nazionale Palestinese tornare a Gaza. Speriamo di vedere un governo che affronti davvero i problemi della gente di là. E c’è ancora molta strada da fare con Gaza e la distruzione”. Il Qatar, Paese che ospita le trattative Hamas-Israele, ha un ruolo di primo piano in questa vicenda.

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Le contraddizioni Usa e i bot di Israele

Netanyahu finora ha rifiutato la prospettiva che l’Olp gestisca il futuro di Gaza, ma è indicativo che Witkoff lo abbia prospettato a Hussein al-Sheikh. Arduo che ciò, sempre che avvenga, possa escludere del tutto Hamas dal governo, dal momento che i suoi miliziani, finiti i combattimenti, sono usciti dai tunnel e dalle macerie in una dimostrazione di forza inattesa.

Come si può notare tutto ciò – e in particolare le dichiarazioni di Witkoff – stride con le parole pubbliche di Trump, che ha detto e ribadito che Egitto e Giordania dovrebbero farsi carico dei palestinesi della Striscia.

Tanta la confusione, né potrebbe essere altrimenti, sia perché il puzzle mediorientale è letteralmente impazzito nel corso del tragico mandato di Blinken al Dipartimento di Stato Usa, sia per le contraddizioni dell’amministrazione Trump, alimentate dalle dichiarazioni estemporanee del presidente, sulle quali appare interessante quanto scrive Alon Pinkas su Haaretz, il quale spiega come il tycoon prestato alla politica spesso si contraddice da un giorno all’altro.

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In effetti, più che alle dichiarazioni estemporanee, troppo spesso strumentali a propositi sottaciuti, occorre stare alla prassi del presidente americano. E, ad oggi, a stare ai fatti, se il cessate il fuoco resiste è grazie alle sue pressioni (domani si vedrà).

Chiudiamo con una nota di colore, accennando a un articolo di Omer Benjacob su Haaretz che svela come uno dei tanti bot AI approntati da Israele per diffondere sui social messaggi in suo favore sia impazzito, rivoltandosi contro i suoi padroni e iniziando a postare messaggi in favore dei palestinesi e contro le “immense sofferenze” inflitte a Gaza, post pubblicati addirittura sul sito ufficiale del governo israeliano…

Ciò evidenzia sia l’impegno profuso da Tel Aviv per sostenere l’Hasbara – la propaganda aggressiva israeliana – che la precaria affidabilità dell’intelligenza artificiale. Nel caso specifico, tale precarietà appare di surreale ironia.

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