Trump e la deportazione dei palestinesi (2)
Le dichiarazioni scioccanti di Trump sullo sfollamento di Gaza sono al centro della riprovazione internazionale. Tutti i Paesi del mondo, tranne Israele, hanno condannato le parole di Trump, successivamente stemperate, ma non nella sostanza, dal suo inner circle, che ha escluso gli stivali sul terreno dei soldati americani e aggiunto che lo spostamento dei palestinesi sarebbe solo temporaneo (un temporaneo-definitivo).
L’Arabia Saudita
La presa di posizione più importante è quella dell’Arabia Saudita, sia per la sua importanza regionale sia perché gli Accordi di Abramo, cioè la normalizzazione dei rapporti tra mondo arabo e Israele, dipendono dalla sua adesione.
Ed è sulla riuscita di tali accordi che Tel Aviv punta per espandere la sua influenza regionale e globale. Così è di grande interesse il durissimo, quanto insolitamente lungo, comunicato di Riad, che ha ribadito come “La creazione dello Stato palestinese è una posizione ferma e incrollabile” del Regno.
“Sua Altezza [il principe ereditario e primo ministro Mohammed bin Salman] ha affermato questa posizione in modo chiaro ed esplicito che non consente alcuna interpretazione in nessuna circostanza”.
“Sua Altezza ha sottolineato che il Regno dell’Arabia Saudita non interromperà il suo instancabile impegno per la creazione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale e il Regno non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele senza di esso”.
“Il Regno dell’Arabia Saudita sottolinea inoltre il suo rifiuto categorico, precedentemente annunciato, di qualsiasi violazione dei legittimi diritti del popolo palestinese, sia attraverso le politiche di insediamento israeliane, l’annessione dei territori palestinesi o i tentativi di sfollare il popolo palestinese dalla sua terra”.
Ieri avevamo accennato a come anche in ambito israeliano si siano registrate proteste, e commenti negativi, e più che negativi, come negativamente hanno reagito diverse comunità ebraiche americane, tra le quali il moderato American Jewish Committee.
Opposizioni anche in ambito Maga, con Rand Paul, esponente di spicco del movimento, che ha dichiarato: “La ricerca della pace dovrebbe riguardare sia gli israeliani che i palestinesi. Pensavo che avessimo votato per America First”.
Trump ipnotizzato?
Si è saputo che l’intemerata di Trump è stata sollecitata dal nefasto genero Jared Kushner, che già in passato aveva espresso idee simili, come scrive Dave DeCamp su Antiwar ricordando la solida amicizia tra Kushner e Netanyahu.
Secondo DeCamp, Trump sarebbe rimasto folgorato dall’idea del genero, una interpretazione simile a quella di Mk Bhadrakumar che su Indianpunchline scrive che sia Trump che l’inviato Usa per il Medio oriente, Steve Witkoff, due immobiliaristi, siano stati “ipnotizzati” dalla visione del mare di Gaza e dei resort che potrebbe ospitarvi.
Corollario non secondario di tale follia, l’inversione di rotta sul Medio oriente: se come leader Maga Trump aveva detto di volersi ritirare dalla regione, da presidente sembra aver cambiato posizione, come denoterebbe anche il rilancio della massima pressione sull’Iran.
“L’immaginazione di Trump sta impazzendo – commenta Bhadrakumar – completamente scollegata dalle realtà più basilare. C’è il rischio reale che tale ingenuità prima o poi gli esploda in faccia […]. Ha tutte le carte in regola per diventare un pantano per l’amministrazione Trump”. Netanyahu, dunque, avrebbe “intrappolato Trump” in un pantano in stile Vietnam, come da titolo della nota dell’ex ambasciatore indiano.
Di opposto avviso Alon Pinkas, ex ambasciatore di Israele negli Usa e cronista di Haaretz, il quale ha ribadito che lo scopo della visita di Netanyahu negli Usa era quello di mandare all’aria il cessate il fuoco e riprendere il genocidio di Gaza. Da questo punto di vista la missione non è riuscita (per ora).
“Anche se si prende alla lettera quanto ha detto Trump e si pensa [al controllo Usa su Gaza] come a un piano fattibile o praticabile, il cessate il fuoco deve proseguire affinché ciò accada”.
“Quando guardi la sitcom che ha avuto luogo alla Casa Bianca martedì – ha chiosato – c’è stato qualche accenno alla normalizzazione con i sauditi che ricordate? Non c’è stato. C’è stato qualche accenno a un attacco all’Iran? Non c’è stato. C’è stato qualche riferimento al fatto che Trump abbia capito che gli israeliani devono annientare completamente Hamas dopo 16 mesi di guerra? Non c’è stato”.
Insomma, secondo Pinkas un presidente americano “all’apice del suo potere” avrebbe semplicemente preso in giro Netanyahu. Interpretazione opposta rispetto a quella letterale, ma potrebbero conciliarsi.
Il prestigiatore e il Mago
Trump non è il padrone del mondo e in America il sostegno alle mire espansionistiche di Israele è condiviso da gran parte dei repubblicani e dei democratici – come si è visto durante l’amministrazione Biden – ambiti che hanno grande influenza in tutti i settori del potere Usa.
Con la sua formula magica, quanto irrealistica, Trump ha guadagnato tempo per poter prolungare la tregua, nella speranza di riuscire nel frattempo a trovare un modo per uscire dal cul de sac.
Lo ha accennato, in altro modo, il Consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz, il più importante consigliere di Trump, in un’intervista alla CBS, il quale “ha ipotizzato che il piano di Trump in realtà potrebbe essere stato solo quello di stimolare nuove idee nelle controparti arabe su come ricostruire Gaza” (dal Timesofisrael).
“Nessuno ha una soluzione realistica – ha dichiarato Waltz – lui mette sul tavolo alcune idee nuove, fresche e audaci… ciò porterà l’intera regione a trovare le proprie soluzioni se la soluzione di Trump risultasse sgradita”.
L’ambiguità di Trump spiegherebbe l’ostilità di Netanyahu, simboleggiata dal cercapersone d’oro regalato al suo anfitrione. Sul senso di tale regalo abbiamo già accennato, con conferma successiva di Chris Menaham, che su Information Liberation scrive: “Trovo difficile credere che Trump possa intendere un simile ‘dono’ come qualcosa di diverso da una minaccia”.
Un cenno che Menaham spiega raccontando come in questi giorni Betar Us, un’organizzazione sionista americana, stia minacciando persone che ritengono ostili a Israele regalando loro dei cercapersone (cenno che riecheggia minacce analoghe subite dal giornalista del New York Times Peter Beinart, raccontate da Haaretz).
Sul punto, Menaham riporta anche l’intervento di Jonathan Greenblatt alla Knesset israeliana di alcuni giorni fa, in cui del Ceo dell’Anti defamation league spiegava come il “genio” che ha dato vita all’attacco con i cercapersone sia ora necessario per combattere l’antisemitismo…
Insomma, Trump deve navigare tra Scilla e Cariddi ed è probabile che lo sfollamento di Gaza sia solo un gioco di prestigio per svicolare dalla stretta di Netanyahu, nella speranza di trovare col tempo una qualche quadra alla tragedia mediorientale usando di sponde esterne.
Resta che se lui è un prestigiatore, Netanyahu è un mago ed è in grado di sfruttare qualsiasi appiglio per i suoi fini. Lo denota il fatto che il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha già dato mandato all’esercito di organizzare piani per consentire lo spostamento “volontario” dei palestinesi.
Insomma, anche se fossero state dettate dalla necessità di uscire da una costrizione, Trump potrebbe rimanere vittima delle sue stesse esternazioni. A farne le spese sarebbero anzitutto i palestinesi, sul cui tragico destino incombe ancora il buio.