Zelensky, Macron: l'ora dei funamboli

Zelensky è un uomo molto fortunato: se ci fosse stato un altro presidente alla Casa Bianca sarebbe finito come il presidente del Vietnam del Sud Ngô-dinh-Diem, il quale, dopo esser stato usato per la guerra per procura scatenata in Indocina per togliere la regione dall’influenza russa e cinese, si ribellò apertamente a Washington. Finì male: fu ucciso a seguito di un golpe.
Le capriole di Zelensky, l’attivismo di Macron
Invece, nonostante si sia messo di traverso, arrivando ad attaccare la più grande stazione di petrolio russa, quella di Kropotkinskaya, a Kuban, dove arriva il petrolio del Kazakistan estratto da aziende petrolifere americane, l’amministrazione Trump continua a lavorare perché esca di scena in modo indolore.
La prima opzione di Washington è che l’Ucraina vada a nuove elezioni, dal momento che sono convinti, come dichiarato da Trump, che il consenso per il “dittatore” Zelensky, come lo ha definito il presidente Usa, ha numeri da prefisso telefonico. Dichiarazione alla quale Zelensky ha risposto stizzito, parlando di un consenso massivo (allora, non ha nessun problema a indire elezioni, ha commentato Musk…).
Se non sarà così, le cose si complicherebbero per il presidente ucraino e c’è già chi parla di esilio. Zelensky cerca di vendere cara la pelle, tanto che oggi, incontrando l’inviato Usa per l’Ucraina Keith Kellog, ha cercato di accattivarsi una rinnovata simpatia degli Usa cedendo a Washington le risorse minerarie di Kiev (tanto non sono sue…).
Così, oltre che devastata, l’Ucraina esce da questa guerra per procura contro la Russia anche depauperata di risorse e territori, come era destino che fosse. Tale il destino comune delle nazioni che hanno subito o sono state usate per le guerre infinite di matrice neocon. Ma il suo futuro resta incerto, anche perché tanti in Ucraina manifestano insofferenza nei suoi confronti (resta poi da vedere se si aprirà l’inchiesta sui finanziamenti Usa a Kiev, dalla quale arriverebbero tante sorprese).
Nel frattempo, i negoziati russo-americani vanno avanti, come denota il fatto che gli Stati Uniti hanno rimandato indietro una risoluzione del G-7 – previsto per il 24 febbraio – che identificava la Russia come Paese aggressore
Quanto all’Europa, la chiamata alle armi di Macron contro la nuova determinazione Usa sul conflitto ucraino non ha dato esiti, ma il presidente transalpino non demorde e persevera nel suo attivismo: dopo aver dichiarato di essere pronto a parlare con Putin, ha organizzato in tutta fretta un viaggio negli States.
Tenta di sopravvivere al sommovimento scatenato dalla seconda rivoluzione americana, presentandosi come leader di riferimento degli Usa in Europa. Piccolo cabotaggio, non sortirà granché né per la Francia né per il Vecchio Continente, com’è avvenuto per tante altre iniziative geopolitiche del mutevole leader transalpino, ma il tentativo va comunque registrato.
Al garzone di casa Rothschild potrebbe bastare un cenno di simpatia dell’Imperatore che renda almeno un po’ incerto il rinnovamento politico incombente causato dal rafforzamento geopolitico della destra di Le Pen.
Dinamica che lo vede soccombente, da cui il suo attivismo, e che verrebbe accelerata se effettivamente si registrasse un’affermazione di Alternative für Deutschland alle elezioni teutoniche che si svolgeranno domenica prossima. Dinamica ancora più accelerata se l’Afd venisse cooptata al governo superando l’emarginazione attuale. Molto dipenderà da quanto deciderà il garzone di Blackrock, Friedrich Merz, attuale leader della CDU e Cancelliere in pectore.
Elbridge Colby, un realista al Pentagono?
In attesa, l’attuale focus geopolitico, oltre che sul tormentato Medio oriente, è centrato negli Usa, dove si sta svolgendo una battaglia decisiva per il futuro dell’amministrazione Trump. Il Tycoon prestato alla politica ha incassato il placet del Senato per il nuovo direttore dell’FBI, Kash Patel, nomina che gli permetterà di correre minori rischi in patria.
Ma un’altra nomina, molto più importante, resta in bilico, essendo oggetto del fuoco amico da parte di alcuni esponenti del partito repubblicano. Una lotta silenziosa, lontana dai riflettori, sta mettendo a rischio la conferma al Senato di Elbridge Colby, che Trump ha nominato sottosegretario per la politica del Pentagono.
Una nomina che sembra di basso profilo, ma che invece è, se non decisiva, di certo di rilevanza primaria, perché il Capo del Pentagono Pete Hegseth dovrebbe confrontarsi con lui su tutti i dossier in agenda; ed essendo Colby molto più esperto dell’ex conduttore televisivo messo alla guida dell’esercito Usa, avrebbe un peso decisivo nelle determinazioni.
La nomina di Colby ha attirato critiche puntute, sia tra i democratici che tra i repubblicani, non tanto per le sue posizioni sulla Russia, dal momento che la sua propensione per un appeasement è ampiamente condivisa da tutti i membri dell’amministrazione Trump, quanto per le sue posizioni sull’Iran.
Di scuola “realista”, come scrive Andrew Drey su The American Conservative, egli da tempo sostiene un approccio pragmatico verso l’Iran, escludendo dal novero delle possibilità la “guerra preventiva” contro Teheran – ricercata con funesta ossessione da Netanyahu e i falchi Usa – e sostenendo che l’Iran è “un attore razionale” col quale ci si può approcciare in modalità non aggressiva.
Per questo, come scrive Day, ha contro “la lobby israeliana, tanto che Semafor ha riferito all’inizio di questo mese che […] la Conference of Presidents of Major Jewish Organizations ha scritto una lettera ai membri della Commissione per i Servizi segreti militari in cui esprimeva ‘serie preoccupazioni su Colby”.
“Non tutti i conservatori filo-israeliani ed ebrei condividono queste preoccupazioni – continua Day – tanto che negli ultimi giorni molti di essi si sono schierati in difesa di Colby, ad esempio Yoram Hazony, mente della conferenza annuale National Conservatism“.
Battaglia determinante quella sulla conferma di Colby, tanto che Day afferma che tale “disputa non riguarda solo un singolo incarico al Pentagono. È una battaglia decisiva sul fatto che il Partito Repubblicano, e il paese che ora guida, si lascerà alle spalle il neoconservatorismo” (cioè le guerre infinite). Forse esagera. Forse no.