Tiene la vacillante tregua di Gaza: liberati ostaggi israeliani e palestinesi
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Giornata difficile quella di ieri per i palestinesi – semmai ce ne siano state di facili negli ultimi tempi – quando la consegna dei corpi di quattro ostaggi deceduti durante la detenzione a Gaza e una serie di attentati contro alcuni autobus di linea israeliani hanno riacceso le speranze di Netanyahu di riprendere l’aggressione alla Striscia e gli hanno permesso di intensificare l’attacco contro la Cisgiordania.
La tregua di Gaza ha vacillato
A infliggere un duro colpo alla tregua, la consegna dei corpi della famiglia Bibas, madre e due bambini, rapita durante l’attacco del 7 ottobre. A rinfocolare il desiderio di vendetta di Israele, la scenografia ormai abituale scelta da Hamas per consegnare i corpi.
Una scenografia che serve a far vedere che è ancora forte e ha ancora il controllo della Striscia, allo scopo di dimostrare che non può essere esclusa dalle prospettive di pace. E, però, tale scenografia ha dato agio a Israele di accusare il nemico di una mancanza totale di umanità, in linea con la narrazione disumanizzante pregressa che, partendo da Hamas, abbraccia tutti i palestinesi.
Media e politici israeliani hanno avuto gioco facile a ribadire che non ci sarà pace per Tel Aviv finché Hamas resterà attiva, da cui la rinnovata pressione per eradicare completamente dalla Striscia la milizia islamica. Minacce che hanno trovato eco in America, in primis nel presidente Trump, e che hanno fatto temere che i fragili negoziati collassassero.
Spinta rafforzata dall’esame autoptico dei corpi degli ostaggi restituiti, perché uno di essi, quello di Shiri Bibas, madre dei due bambini, non sarebbe stato riconsegnato: la bara, infatti, avrebbe contenuto il corpo di una donna palestinese.
La sostituzione del cadavere di Shiri era più ben pericolosa della rabbia suscitata dalla cerimonia che ha accompagnato la consegna dei corpi, perché violava i patti tra Hamas e Tel Aviv, come ha subito evidenziato Netanyahu minacciando sfracelli.
L’ondata di indignazione che da Israele si è riverberata sui media mainstream d’Occidente è stata rinfocolata dalla notizia che i figli di Shiri, Kfir e Ariel, sarebbero stati uccisi a mani nude dai loro carcerieri.
La rabbia per l’accaduto sembrava dover travolgere il processo di pace in corso, ma la pronta consegna del corpo di Shiri da parte di Hamas sembra che abbia salvato le trattative.
Hamas, infatti, ha ammesso l’errore, causato dalla difficoltà di rinvenire tra le macerie le spoglie dell’ostaggio, e ha riparato (l’errore, però, resta indicativo della tragedia che si è consumata a Gaza, dove sotto le macerie giacciono i poveri resti insepolti di decine di migliaia di palestinesi). Negoziati, quindi, salvi, tanto che oggi si è registrato a un ulteriore scambio di ostaggi tra Hamas e Israele.
I gas delle bunker buster e gli ostaggi
L’ondata di rabbia suscitata sia dal tragico errore sulla consegna del corpo di Shiri che dal referto autoptico sulla morte dei due piccoli, ha cancellato dalla cronaca quanto aveva dichiarato al mondo Hamas al momento della consegna dei corpi, cioè che gli ostaggi erano periti a causa dei bombardamenti israeliani.
L’accusa di Hamas non era affatto aleatoria. Le autorità israeliane, infatti, hanno ammesso che alcune volte ciò era accaduto, mentre lo scorso dicembre il media online 972 Magazine ha pubblicato un’accurata inchiesta basata su fonti israeliane dal titolo indicativo: “‘Gli ostaggi non erano la nostra priorità’: come la frenesia dei bombardamenti israeliani ha messo in pericolo i prigionieri a Gaza”.
L’inchiesta spiega che nel corso di una precedente campagna contro Gaza, Israele si era accorto che le bombe bunker buster, usate per distruggere i tunnel di Hamas, non solo demolivano i tunnel e i palazzi sovrastanti, ma sprigionavano anche monossido di carbonio nel sottosuolo, ampliandone la portata letale.
A quanto pare Hamas era consapevole di tale effetto, così ha predisposto delle modifiche ai tunnel, dotandoli di nuove prese di aerazione, di porte blindate e altro. Ma, nonostante gli accorgimenti, l’effetto collaterale ha comunque imperversato durante i bombardamenti di Gaza, uccidendo persone che si trovavano anche a centinaia di metri dall’area d’impatto delle bunker buster.
Peraltro, tali ordigni sono stati usati spesso per colpire i capi di Hamas, presso i quali erano detenuti gli ostaggi. Le fonti dell’esercito israeliano interpellate da 972 hanno ammesso che, soprattutto all’inizio della guerra, Israele ha bombardato aree nelle quali avrebbero potuto trovarsi gli ostaggi, sia perché avevano poche informazioni al riguardo, sia perché, come recita il titolo dell’articolo, la loro salvezza non era considerata una priorità assoluta. Gli ostaggi eventualmente deceduti a causa del gas, non presenterebbero ferite da arma da fuoco, come nel caso dei piccoli Bibas.
Hamas potrebbe aver mentito, certo, ma è pur vero che le autorità israeliane sono state colte in fallo spesso nel corso del conflitto. Così, in attesa di riscontri indipendenti – che non ci saranno – non accogliamo come verità dogmatica nessuna delle due versioni. Ciò nulla toglie all’orrore per quanto accaduto ai piccoli Bibas, come anche alle decine di migliaia di piccoli palestinesi periti sotto i colpi israeliani, la cui sorte attira meno attenzione mediatica.
Gli anomali attentati ai bus
Come accennato all’inizio della nota, alla criticità creata dal rilascio dei cadaveri degli ostaggi si è sovrapposta quella di una serie di attentati contro dei bus israeliani, attribuiti alle milizie che operano in Cisgiordania. Verso le otto e trenta di sera, tre veicoli sono andati distrutti, mentre su altri due sono state trovate bombe inesplose. Tutti i mezzi erano vuoti, nessuna vittima. Secondo l’intelligence israeliana gli ordigni avrebbero dovuto esplodere la mattina successiva, quando la gente si sarebbe recata al lavoro.
Attentati anomali, dal momento che finora mai le milizie della Cisgiordania avevano messo a segno azioni di tale portata e complessità. Inoltre, su due bombe, come si apprende da Haaretz, spiccavano le scritte “Attack” e “Tulk Arm” (quartiere della Cisgiordania): se esplose, le scritte sarebbero state indistinguibili, non esplose avrebbero destato allarme, particolare controproducente per la riuscita di un attentato.
Inoltre, come si legge su al Jazeera, le milizie palestinesi non hanno ancora rivendicato l’attacco. L’intelligence israeliana ha catturato due israeliani di cui non ha reso note le identità. Conoscendo i metodi di interrogatorio in uso a tali unità, confesseranno di tutto e di più.
Come accennato, l’ondata di paura provocata dagli attentati è andata a sovrapporsi a quella di indignazione per quanto avvenuto nella consegna dei corpi degli ostaggi. Paura, rabbia, un mix esplosivo che Netanyahu – che morde i freni per riprendere le ostilità su tutti i fronti – sa maneggiare con cura. Per ora si dovrà accontentare di incrementare la gazificazione della Cisgiordania, che ha già provocato centinaia di morti e 40mila sfollati, in futuro si vedrà.
Per restare sempre alla tempistica, tutte queste criticità sono corse in parallelo al summit di Riad nel quale i capi di diversi Paesi arabi si sono dati convegno per predisporre un piano per il futuro di Gaza alternativo a quello irrealistico e folle di Trump, che pure si è detto pronto ad accogliere alternative.
Presenti, oltre al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, padrone di casa, i leader di Giordania, Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Bahrein. La coincidenza temporale con quanto avvenuto in Israele non è di buon auspicio.