4 Marzo 2025

Un piano egiziano su Gaza. E Trump chiede aiuto a Putin sull'Iran

Israele insiste sulla proposta di un prolungamento precario della tregua, Hamas su un cessate il fuoco duraturo. Giorni cruciali per le tante criticità del Medio oriente
di Davide Malacaria
Un piano egiziano su Gaza. E Trump chiede aiuto a Putin sull'Iran
Tempo di lettura: 4 minuti

Nonostante la violazione degli accordi stabiliti all’inizio della tregua di Gaza da parte di Israele, questa continua il suo fragile corso. Le intese prevedevano che, terminato il cessate il fuoco provvisorio della prima fase, puntellato da scambi di prigionieri tra Hamas e Tel Aviv, si passasse alla fase due, che prevedeva la fine permanente del conflitto e il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia.

Ma Netanyahu, dopo aver tentato in tutti i modi di sabotare la tregua in precedenza, ha chiesto che si prolungasse la fase uno, cioè che Hamas rilasci gli ostaggi in parallelo alla liberazione di detenuti palestinesi, ma senza che vi sia alcun accordo sulla fine duratura delle ostilità.

Hamas ha rifiutato e, come ritorsione, Israele ha bloccato gli aiuti diretti verso Striscia, dove i palestinesi, sparsi tra le rovine di quella che un tempo era la loro terra, mancano di tutto (vedi Anadolu). Israele aveva affermato che la loro proposta di prolungare la prima fase del cessate il fuoco aveva avuto l’avallo dell’inviato per il Medio oriente di Trump Steve Witkoff, ma la notizia è stata smentita da fonti ufficiose (Timesofisrael).

Smentita di grande interesse e confermata dal fatto che, in precedenza, Witkoff aveva dichiarato che si sarebbe recato in Medio oriente a breve, per la “seconda fase della tregua“. Occorre attendere. Nel frattempo, Netanyahu spera che “Hamas violi il cessate il fuoco così da giustificare la ripresa guerra”, come da titolo di Haaretz.

Il piano infernale di Tel Aviv

In parallelo, “il governo israeliano sta preparando un ‘piano infernale’ per la Striscia di Gaza che prevede il taglio di tutta l’elettricità e dell’acqua nel territorio, oltre al blocco del cibo, del carburante e tutti gli altri beni, come annunciato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu“. Lo ha riferito l’emittente israeliana Kan, ripresa da Antiwar. Non è tutto: il piano infernale prevede la ripresa dei bombardamenti nel Nord di Gaza…

Un ulteriore passo verso lo sterminio totale dei palestinesi. Israele spiega tale piano come un modo per forzare Hamas ad accettare l’estensione della fase uno fino alla liberazione di tutti gli ostaggi, ma appare esattamente l’opposto: sarebbe interpretata come un rigetto delle trattative, da cui l’inevitabile reazione di Hamas.

Tutto è appeso a un filo, mentre al Cairo i Paesi arabi stanno dibattendo sul piano di pace finalmente approntato dall’Egitto che, a differenza del surreale piano di Trump, non prevede lo sfollamento dei palestinesi. Inutile scendere nei dettagli, che pure abbondano sui media arabi: quel che conta è che finalmente c’è un’alternativa alla riprovevole “Riviera di Gaza“.

Il nodo gordiano del piano sarà il ruolo di Hamas, che Israele vuole che esca di scena, cosa che viene prevista dal piano egiziano; ma la milizia islamica deve accettarlo, nessun Paese arabo può costringerla sulla punta delle baionette.

Secondo una nota di Middle east eye Hamas avrebbe accolto la richiesta. Sarebbe una svolta, ma occorre attendere una conferma ufficiale data la facilità con cui certe notizie mediorientali sono smentite. Intanto, il presidente egiziano al Sisi ha affermato di essere “certo” che Trump porterà la pace in Medio oriente.

Evidentemente ha informazioni che non emergono dai media. Resta che se anche la disposizione del presidente Usa è tale, occorre tener presente le tante pressioni che deve subire in patria e le tante trappole che deve schivare, anzitutto quelle di cui è maestro il premier israeliano.

Israele, intanto, continua la sua aggressione alzo zero alla Cisgiordania, oltre che nei diuturni bombardamenti in Siria e in Libano, nonostante la prima abbia dichiarato di volere un rapporto amichevole con Tel Aviv e che nel Libano vige un cessate il fuoco tra le forze israeliane ed Hezbollah.

Il disarmo curdo e il nodo Iran

Per quanto riguarda la Siria, Israele sta cercando di allargare la sua sfera di influenza offrendo la propria tutela alla comunità drusa sparsa presso il suo confine. Da alcuni giorni tale comunità ha avviato un braccio di ferro con le nuove autorità di Damasco – ascese al potere dopo la caduta di Assad – che vorrebbero smantellarne le milizie contro la loro volontà, innescando scontri.

La proposta israeliana di farne suoi vassalli ha però indignato tutte le anime della comunità drusa siriana, che hanno rigettato l’offerta come un’indebita ingerenza esterna, affermando che la questione riguarda loro e le autorità siriane. Come accenna Zvi Bar’el su Haaretz, la mira espansionistica di Tel Aviv, che ha già conquistato parte del territorio siriano, rischia di lacerare ancora di più il tessuto socio-politico del Paese limitrofo.

Sempre in Siria, uno sviluppo positivo che riguarda anche, e soprattutto, la Turchia: i curdi del Pkk hanno accolto la richiesta del loro leader storico Abdullah Ocalan, da decenni ristretto in una prigione turca, di disarmare. Sviluppi da seguire e di grande interesse considerando quanto sia stato acceso lo scontro tra Ankara e i curdi negli ultimi anni e che, dopo la caduta di Assad, Erdogan aveva riproposto la sua vena aggressiva verso tale comunità, che in Siria è ben armata.

L’ultima e più grave criticità mediorientale, che ha respiro più globale, è quella che contrappone Tel Aviv a Teheran, sulla quale si succedono notizie circa un possibile bombardamento israeliano ai siti nucleari iraniani, che innescherebbe un conflitto impossibile da gestire.

Due le notizie interessanti sul punto. Bloomberg ha rivelato che Trump ha chiesto aiuto a Putin per trovare un accordo con Teheran. La seconda, solo apparentemente meno importante, riguarda la nomina di Eldbrige Colby al terzo posto del Pentagono, cioè sottosegretario della Difesa per le questioni politiche.

Oggi l’audizione al Comitato per i servizi segreti dell’esercito che deve decidere se accogliere o meno la nomina del presidente. Uomo di grande esperienza, Colby è inviso non solo ai democratici, com’è ovvio, ma anche a tanti repubblicani sensibili ai desiderata di Tel Aviv, la quale teme questa nomina perché Colby ha una posizione realistica rispetto all’Iran, avulsa dalla propaganda ufficiale che ne fa un pericolo esistenziale per Israele e il mondo intero (sic). Può essere una pedina fondamentale per un’eventuale de-escalation Teheran-Washington.

Nomina importantissima quanto delicata e in bilico, tanto che il vicepresidente J.D. Vance oggi si è precipitato a Capitol Hill per convincere gli esponenti repubblicani riottosi a confermarlo.