19 Marzo 2025

La telefonata Putin-Trump e le bombe su Gaza (2)

Accordo su un cessate il fuoco contro le infrastrutture energetiche e trattative a breve sulla tregua di 30 giorni. Ma i due presidenti hanno parlato anche di una cooperazione per stabilizzare il Medio oriente
di Davide Malacaria
La telefonata Putin-Trump e le bombe su Gaza (2)
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La telefonata Putin-Trump ha dato i suoi esiti, nonostante l’intesa raggiunta per ora sia solo una pausa immediata sugli attacchi contro le infrastrutture energetiche, alla quale però è chiamata ad aderire anche l’Ucraina.

Non è bel segnale il fatto che ieri sera tre droni di Kiev abbiano attaccato a uno snodo energetico nella regione di Krasnodar e che Zelensky ancora non si sia pronunciato, mentre, all’opposto, il ministero della Difesa russo ha comunicato di aver abbattuto in serata alcuni dei propri droni lanciati contro infrastrutture energetiche ucraine, in ottemperanza all’ordine impartito da Putin.

Il cessate il fuoco ucraino

Del cessate il fuoco di trenta giorni, che aprirebbe prospettive più ampie, se ne parlerà in dettaglio negli incontri che si terranno a breve tra le rispettive delegazioni, dal momento che tante sono le condizioni per far sì che possa realizzarsi e soprattutto tenga.

Intanto, si segnala un attacco più o meno massivo delle forze ucraine contro la regione di Belgorod: il tentativo è quello di ripetere quanto avvenuto nella regione di Kursk, cioè un’invasione del suolo nemico. Ad oggi sembra che sia stato respinto, ma gli sviluppi sono in corso.

Inoltre va registrato che Zelensky non ha dato ordine di arrendersi ai soldati che i russi hanno accerchiato nel territorio di Kursk, vanificando l’intesa a distanza raggiunta alcuni giorni fa da Trump e Putin, con il primo che aveva chiesto di risparmiare la vita agli ucraini e il secondo che aveva acconsentito, se ovviamente si fossero arresi.

Tutto ciò segnala ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’estrema riluttanza del presidente ucraino a mettersi sulla lunghezza d’onda di Washington e Mosca. Una posa muscolare che sarebbe impossibile senza il sostegno dell’altrettanto recalcitrante Unione europea a trazione teutonico-britannica.

Telephone conversation with President of the United States Donald Trump

Ma, in due ore e mezza di conversazione, Trump e Putin avranno affrontato anche questo problema spinoso, come tanto altro che non è stato comunicato. In particolare, segnaliamo un cenno contenuto nella nota della Casa Bianca: i due presidenti “hanno parlato ampiamente del Medio Oriente come regione di potenziale cooperazione“.

President Donald J. Trump’s Call with President Vladimir Putin

Meno stringato il comunicato del Cremlino: “Vladimir Putin e Donald Trump hanno anche affrontato altre questioni internazionali, tra cui la situazione in Medio Oriente e nella regione del Mar Rosso. Saranno fatti sforzi congiunti per stabilizzare la situazione nei punti di crisi e stabilire una cooperazione sulla non proliferazione nucleare e sulla sicurezza globale. Ciò contribuirà a sua volta a migliorare l’atmosfera generale delle relazioni tra Russia e Stati Uniti”.

Neanche troppi impliciti i riferimenti alle crisi che stanno infiammando o rischiano di infiammare la regione: le stragi di Gaza e della Cisgiordania, il conflitto con gli Houti e le criticità legate all’Iran e al suo sviluppo nucleare, che rischiano di innescare una nuova grande guerra mediorientale (Trump aveva già chiesto a Putin di mediare tra Washington e Teheran).

Putin agrees to mediate between Iran and US - Russian state media

Le bombe di Gaza

Quanto alla ripresa della guerra (leggi massacro) di Gaza, lapidario l’editoriale di Haaretz, che smaschera le “bugie” di Netanyahu, il quale ha giustificato la rinnovata aggressione come una risposta alla violazione degli accordi da parte di Hamas.

Israel, Not Hamas, Is Derailing the Gaza Cease-fire and Preventing the Hostages' Return

“Bisogna dirlo, forte e chiaro, che questa è una bugia – scrive Haaretz – È stato Israele, non Hamas, a violare l’accordo. Al suo 16° giorno, le parti avrebbero dovuto iniziare a discutere la seconda fase, che avrebbe dovuto concludersi con il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti. Israele ha rifiutato”.

Inoltre, aggiunge Haaretz, ha Tel Aviv rifiutato di ritirarsi, come avrebbe dovuto, dal Corridoio Filadelfia e di far arrivare gli aiuti nella Striscia come concordato (anzi, ha stretto ancor più la morsa).

Il media israeliano spiega che la ripresa della guerra era necessaria a Netanyahu per far sopravvivere il governo, perché tra una settimana la Knesset deve votare il bilancio dello Stato e non ha i voti senza l’appoggio di Otzma Yehudit, di cui è leader l’incendiario Itamar Ben-Gvir, che si è ritirato dalla coalizione di governo perché contrario alla tregua.

Dopo le bombe, Ben-Gvir è tornato al governo, avendo Netanyahu acconsentito anche ad altre sue due richieste: ha ottenuto, infatti, la testa del capo dello Shin Bet, la Sicurezza interna, Ronen Bar e quella del procuratore capo di Israele, Gali Baharav-Miara (anche se quest’ultima per ora resiste).

Queste le motivazioni particolari, ma ieri abbiamo spiegato come il giorno scelto per riprendere l’aggressione alzo zero a Gaza sia coinciso non casualmente con la telefonata tra Trump e Putin. Nella nota spiegavamo il quadro più generale, cioè che le bombe su Gaza sono parte della reazione del partito della guerra globale al tentativo di distensione internazionale che quella telefonata, impossibile solo un mese fa, ha avviato.

Una distensione che, come accennato nelle note di Washington e Mosca, interessa anche il limitato quadro mediorientale. Trump da solo non può fare molto per frenare Netanyahu e i suoi messianici sostenitori.

Troppo forti le pressioni dei falchi pro-Israele negli Usa, mentre appare debole, seppur consistente, la spinta della comunità ebraica che si oppone alla folle deriva muscolare di Tel Aviv. Serve una cooperazione con la Russia e la telefonata di ieri appare un inizio, seppur ancora incerto, anche per questo.

Di interesse, per quanto riguarda Gaza, anche la visita negli Usa del potente Consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Tahnoon bin Zayed Al-Nahyan, che oggi ha incontrato Trump. Gli Emirati sono i più accaniti avversari del piano egiziano per la Striscia, che per ora è l’unico sul piatto. Si spera che la visita abbia dato esiti positivi.

Trump meets UAE national security adviser, discusses strategic partnership prospects