Pastello
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Francesca e Caterina)
ma come può un coniglio
fare il prato più verde
una strada ferrata
una stazione di mattoni rossi
nascondersi fra colline di robinie
per farle più spinose e più robinie
soprattutto questo odore di foglie nuove
ma come può?
come è possibile
che tutto un mondo si colori di mattino
se vi tengo per mano
Luciano Erba
Luciano Erba è poeta delle cose minime, poeta dello sguardo che si posa sulle cose e da esse trae ispirazione. La sua è una parola pudica, dimessa, antiretorica – un eloquio comune anche ad altri componenti della quarta generazione novecentesca della “linea lombarda” in cui viene normalmente annoverato – che aderisce alla realtà più domestica e agli oggetti più ordinari spesso enumerandoli con eleganza, o con ironia, o anche con un certo smarrimento e, talvolta, con una certa vena di malinconia: se le cose, anche le più feriali, sono segni, rimandi ad altro, ad altro sconosciuto spazio “metafisico” (le “immagini” montaliane che «portano scritto / “più in là”»), non è dato alla poesia scoprirlo. Qualche volta esse si mostrano agli occhi del poeta come «eventi privi d’ombra e di riflesso / soltanto un segno che segna sé stesso» (L’ippopotamo).
Ma nei versi dello scrittore milanese la realtà si pone sempre come l’origine del fare poetico. Il dato sensibile è imprescindibile. Esso, solo, è in grado di destare la sua poesia. C’è una bella umiltà – proprio nel senso etimologico del termine: da “humus”, “terra” – nel lavoro di Erba: lui sta alle cose, non vi rinuncia, non va oltre, non si sforza di inventare o evocare con le parole altre dimensioni ideali: «Anche dolendosi o sorridendo», osserva il critico Daniele Piccini, «il poeta sembra lievemente assorto, e sono le cose, i chiari segni della realtà, a parlare per lui».
In questi versi – tratti dalla raccolta Il nastro di Moebius, del 1980 – il poeta, stupito, si chiede come sia possibile che oggetti colori odori si accendano, mostrando con un di più di energia e bellezza le loro consuete caratteristiche. E nell’ultimo verso c’è un’implicita possibile risposta. La compagnia delle due bambine, sue figlie, e il loro affetto silenzioso sembrano illuminare le cose circostanti. Un piccolo prodigio che avviene in un’occasione così usuale desta un presentimento, provoca una domanda: «Come può?».
Qui si ferma la penna del poeta. Sa bene che non tocca a lui rispondere.
Paolo Mattei