Negare l'esistenza di Satana è banalizzare l'opera di Cristo e la stessa redenzione
Tempo di lettura: < 1 minuteIn un articolo sull’Osservatore Romano del 3 maggio, intitolato «Il risorto e le lusinghe del serpente», Inos Biffi, dopo aver rintracciato le varie personificazioni del demonio nelle Scritture, e le esegesi che lo riguardano, fa tre considerazioni.
La prima è sulla “storia” precedente alla creazione dell’uomo: la guerra portata a Dio da Lucifero e i suoi. Per Biffi, prima che una rivolta contro il Signore, «l’orgogliosa insofferenza degli angeli ribelli ha come oggetto Gesù “Il primeggiante su tutte le cose”». Insomma, la ribellione nasce dall’invidia per la predilezione del Padre verso il Figlio.
La seconda riguarda la constatazione del «potere impressionante di Satana», così forte che soltanto la forza del Figlio di Dio lo può sgominare, «anzi, la forza del Figlio di Dio confitto alla croce, e quindi in una condizione di un’estrema debolezza umana, che paradossalmente diviene senza fatica potenza assoluta».
L’ultima osservazione di Biffi è che la realtà del demonio, attestata dalle Scritture, non trova spazio nella catechesi, nella predicazione e nella teologia, come se il diavolo fosse la «personificazione di un’oscura e primordiale idea di male, ormai demitizzabile e inaccettabile». Conclude Biffi: «Una simile concezione è un capolavoro di ideologia e soprattutto equivale a banalizzare la stessa opera di Cristo e la sua redenzione. Ecco perché ci sembrano tutt’altro che secondari i richiami al demonio, che riscontriamo nei discorsi di Papa Francesco».