I limoni
Tempo di lettura: 2 minutiAscoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Eugenio Montale
In questa poesia di Montale si ritrova gran parte degli elementi – stilistici, psicologici e “ideologici” – che caratterizzano la raccolta di cui fa parte, gli Ossi di seppia (prima edizione del 1925 e seconda, quasi definitiva, del 1928): la ricerca di un linguaggio dimesso, «scabro ed essenziale» (in fuga sia dalle radicali rotture delle avanguardie sia dalle tonalità eroiche ed enfatiche dei «poeti laureati») che aderisca vividamente alle evidenze del mondo esterno (in maniera «musicale, istintiva, non programmatica» ebbe a dire lui stesso); la ricerca di un destinatario, di un “tu” cui partecipare i propri sentimenti («Ascoltami», «Vedi…»); il “male di vivere” che domina le «città rumorose», che incrudelisce nel «tedio dell’inverno», che fa la luce «avara – amara l’anima».
Cè tutto questo, ma ci sono soprattutto loro, i limoni. In questi mesi di primavera li vediamo gravidi di frutti maturi nei nostri quartieri. Brillano attraverso le ringhiere dei cortili, si affacciano ridendo da oltre i muri di cinta di qualche edificio. E la loro solare allegria tornerà a raggiare anche in inverno, quando tutto pare perduto, quando è evidente che il ricordo della trascorsa primavera sbiadisce e non procura più alcun conforto.
Benedetti limoni di città, che da un malchiuso portone ci sorprendono suggerendoci il sempre possibile miracolo.
Paolo Mattei