"Trattativa Stato-mafia, Napolitano venga a deporre"
Tempo di lettura: 2 minutiI pm di Palermo rendono pubblica la lista testi che vorrebbero comparisse nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Tra questi, due presidenti della Repubblica, Ciampi e Napolitano (avrebbe dovuto esserci anche un altro capo dello Stato, Scalfaro, ma è morto), un ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, l’ex capo dell’antimafia e attuale presidente del Senato, Grasso, oltre a vari funzionari dello Stato, degli organi di polizia e mafiosi vari.
Interessante il motivo di due convocazioni in particolare. Napolitano viene chiamato per chiedere lumi su una lettera aperta dell’allora consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, scritta per rispondere ad accuse provenienti da Palermo. I magistrati vorrebbero chiarificazioni su un passaggio di quella lettera, ovvero quello in cui D’Ambrosio scrive “di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, nel periodo tra il 1989 e il 1993”. Passaggio importante perché mette nero su bianco che la trattativa Stato-mafia (questo il tema dello scritto) c’è stata. E, particolare fondamentale, è iniziata nel 1989: l’anno della caduta del Muro di Berlino, due anni prima del terribile 1992, anno in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E terminata nel terribile 1993. In quegli anni, in Sicilia, vengono arrestati molti mafiosi, tanti dei quali divengono pentiti, e tra questi alcuni accusano Andreotti… Ma questa forse è materia per il tribunale della Storia.
L’altro particolare riguarda la convocazione di Carlo Azeglio Ciampi: l’ex presidente della Repubblica dovrebbe riferire sulle circostanze accadute nell’ambito degli attentati di Roma (bomba al Velabro e a Piazza San Giovanni), ovvero su «quanto accadde nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993, anche con riferimento all’allarme conseguito alla contemporaneità tra gli attentati e il black out delle linee elettriche e telefoniche a palazzo Chigi». Particolare importante, appunto, perché denota che i magistrati ipotizzano che dietro quegli attentati non c’era solo Totò Riina e i suoi, ma qualcosa di ben più oscuro e inquietante: la mafia, per quanto potente e organizzata, non è in grado adottare una strategia tanto elaborata e usare mezzi così sofisticati da riuscire a mettere in ginocchio il governo di uno dei Paesi più avanzati dell’Occidente.