Berlusconi, mezzo miliardo alla Cir
Tempo di lettura: 3 minutiLa Cassazione conferma la condanna della Fininvest sulla vicenda del Lodo Mondadori: l’azienda di Berlusconi dovrà rimborsare 500 milioni di euro alla Cir di De Benedetti.
Sentenza scontata: un’altra tegola si abbatte sul Cavaliere. Gli esponenti del Pdl parlano di persecuzione, denunciando un accanimento giudiziario contro il loro leader. Anche questo suona alquanto scontato ed è un copione che si ripete da decenni senza variazioni di sorta. Gli avvocati del Biscione parlano di ricorrere in sede internazionale, ma nel caso specifico, sembra impossibile parare questo ulteriore colpo che tocca Berlusconi nel portafoglio e mette in seria difficoltà la sua azienda, motore immobile della sua fortuna, anche politica.
Atteso un videomessaggio del leader del quale non si conoscono i contenuti. Al di là della cronaca giudiziaria resta che il tramonto del Cavaliere è sempre più tormentato. È un combattente, come gli riconoscono anche i suoi avversari, ma sta rapidamente giungendo il momento del riposo del guerriero. Al di là delle vicende giudiziarie, la biologia è implacabile: ha i suoi anni ormai, e questa sua ultima battaglia più che i contorni di una lotta politica sembra avere quelli di una battaglia per la sopravvivenza: per decidere cioè come andrà fuori dalla scena del teatro politico italiano. Berlusconi ha il fondato timore che parte del mondo politico e giudiziario, di destra e di sinistra, gli riservi un futuro dietro le sbarre; i suoi invece hanno il più fondato timore che, senza di lui, il Pdl si riduca a una compagnia di giro autoreferenziale, incapace di parlare al popolo di destra del quale è stato interlocutore per venti anni.
Già, il popolo di destra: al di là dei tanti limiti emersi in questi anni, forse è questa la vera colpa politica del Cavaliere e dei suoi (le colpe vanno equamente suddivise). Con tangentopoli è finita la Dc, un partito di centro che guardava a sinistra che, con tutti i suoi limiti, aveva rapporti reali con il popolo italiano. Il suo posto, nel clima giustizialista degli anni ’90, è stato preso da Forza Italia (e successivi ritocchi di nome): un partito di destra con forte connotazione populista, dovuta al carisma (?) del suo fondatore. Se grazie alla sua natura la Dc aveva saputo fare politiche popolari, Forza Italia si rivolge esclusivamente alla borghesia, alle grandi imprese, alla finanza, usando del populismo per attirare i voti delle classi più povere. Da qui la paura degli attuali esponenti del Pdl che, senza il loro capo, temono, a ragione, di non saper esprimere quel populismo che finora ha premiato il loro partito.
Una trasformazione in qualche modo analoga è avvenuta nella “sinistra”, dove un partito di sinistra, popolare, progressista, è diventato nel tempo un partito di centro che guarda a sinistra, perdendo la sua funzione storica di difesa delle classi lavoratrici e assumendo i caratteri di un partito democratico di ispirazione anglosassone. Con Renzi la trasformazione sarà completa, innervando il partito di quel populismo di stampo berlusconiano che potrebbe risultare vincente per i prossimi venti anni. Almeno questa è la speranza di chi, fuori e dentro il Pd, punta su Renzi.
Insomma una trasformazione radicale del quadro politico italiano: da destra e da sinistra si è registrato uno scollamento della politica dalle classi popolari più povere, che da anni non godono rappresentanza, costretti a votare questo o quel partito per simpatia o per un provvedimento che suona più o meno congeniale. O a rifugiarsi, sotto la spinta della crisi, nella protesta espressa dal movimento Cinque Stelle. Che, stando così le cose, potrebbe evolversi e sfruttare il campo aperto dalla più o meno prossima fuoriuscita di Berlusconi per calpestare praterie nuove, più moderate. Ma non sembra, al momento, che Grillo e i suoi abbiano il fisico per questa possibile avventura.
Resta quindi questo spazio tragicamente vuoto nella politica italiana che né Monti né Casini, nonostante i loro sforzi, sembrano poter occupare: concepiscono questo luogo “centrale” solo come spazio politico da occupare per interloquire con gli altri partiti, mentre prima di tutto è un ambito cui potrebbe far riferimento gente che ha esigenze comuni e quotidiane, anzitutto quella di arrivare a fine mese, rimasta quasi senza rappresentanza.
È un problema della politica e, allo stesso tempo, un problema per gli italiani.