Cavaliere e Monti La tentazione di una desistenza non detta
Tempo di lettura: 2 minutiMonti offre ad Albertini un seggio al senato. Offerta che, togliendo di mezzo un ostacolo alla vittoria di Maroni, spalanca la porta della Regione Lombardia alla Lega. Grande l’irritazione all’interno del Pd, che con questa mossa vede approssimarsi il pareggio al Senato. La Lombardia, infatti, ha un peso notevole per il Senato italiano, qualcuno l’ha indicata come l’Ohio italiano (il Paese degli Usa considerato nelle ultime elezioni lo Stato chiave per la corsa alla Casa Bianca).
Un’irritazione che sembrava compromettere ogni possibile accordo post elettorale tra il centro e il Pd, da molti indicato come possibile dopo il pareggio al Senato. Così, a tentare di calmare le acque, Monti si è affrettato a spiegare come Albertini resti in corsa per il Pirellone e che la candidatura al Senato è solo un paracadute in caso di sconfitta regionale. Spiegazione che ha tranquillizzato le acque, ma solo in superficie: sotto è tempesta. Anche perché la sostanza, per la Lombardia, resta invariata.
Il problema è che è nei fatti che per vincere Monti deve far perdere il Pd. Ovvero costringerlo a quel pareggio al Senato che lo rimetterebbe in gioco. Così nelle regioni che i sondaggi danno ancora in bilico il centro, in qualità di ago della bilancia, deve sperare che vinca il Pdl. Ma può fare di più: come nel caso lombardo può favorire la vittoria del Cavaliere.
Ma il gioco non deve essere troppo scoperto: pena la rottura con il Pd con il quale, almeno sperano i centristi, si dovrà pur formare un governo di compromesso.
La partita delle politiche s’incrocia con quella presidenziale: proprio per l’importanza che il porcellum assegna al Senato, sono su questo ramo di Parlamento che si concentrano i giochi. E dove si candidano gli esponenti di spicco della politica italiana. Tra questi Casini, che punta a diventare presidente del Senato. Una posizione che lo vedrebbe avvantaggiato per quello che è il suo vero obiettivo: il Quirinale.