Dal fascismo al renzismo
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In genere non tratto politica interna. D’altronde poco capita se non il ripetersi dell’eguale e ne ho già scritto l’essenziale (almeno dal mio punto di vista). E però a quanto pare non c’è fine al delirio di onnipotenza del quale pare sia preda il ragazzo di Firenze scelto da taluni a governare il Paese.
Il ragazzo ha chiesto e ricevuto dalla maggioranza del Parlamento un mandato dai contorni indefiniti per attuare la riforma del lavoro, che si è scelto di definire in lingua anglosassone (non è un caso) con il termine Jobs act. In pratica si è trattato di una delega in bianco al governo che risulta ignota alle cronache parlamentari e alle dinamiche democratiche del nostro Paese. Sabato scorso un milione di lavoratori sono scesi in piazza a protestare contro questa follia, chiedendo tutele e quanto altro.
La risposta del ragazzo è stata tranchant: non tratto con i sindacati.
I sindacati non godono di una fiducia universale, anzi. Ma al di là delle varie opinioni in proposito resta che, nel bene e nel male, rappresentano milioni di lavoratori italiani. Così l’immagine di un governo che non prende neanche in considerazione l’idea di un dialogo con i rappresentanti di milioni di lavoratori su una questione così delicata come la riforma del lavoro è davvero grave. Richiama tempi oscuri, da regime.
Il ragazzo di Firenze, mentre l’Italia affonda sempre più nella stretta della crisi economica, inanella battute e facezie varie. E in questo è anche simpatico (a qualcuno). Nel caso specifico ha mostrato invece un volto duro, autoritario. Si narra sui giornali, con toni invero entusiastici, che all’assise renziana detta Leopolda si stiano facendo le prove generali per un partito della Nazione. Certe dinamiche di governo, in effetti, convergono in questa direzione, di funesta memoria.
Non è un’idea isolata: da più parti si adombra il rischio serio di una caduta della tenuta democratica dell’Italia. Tanto più che non si vede un’opposizione in grado di mettere in vera difficoltà il sistema che si sta costruendo attorno al ragazzo (tra l’altro è figura sostituibile una volta completato l’assetto).
Il movimento Cinque stelle arranca per propri deficit, con i quali dovrà fare i conti prima o poi se non vuole veder dissipato ulteriormente il consenso fin qui conquistato.
La sinistra, ormai residuale nonostante le enormi potenzialità del momento (la crisi morde la carne), non riesce a uscire dal cerchio magico nel quale è rimasta intrappolata: non sa “strappare” con il renzismo, terrorizzata dall’idea di essere accusata di aver fatto cadere il governo e di creare nuovi organismi politici che raccolgano percentuali di consenso da prefisso telefonico; né riesce a immaginare alternative valide al renzismo (evidentemente difettano di fantasia politica, che pure serve).
A destra non accade nulla, se non un dibattito sui diritti dei gay, tema che avrà anche rilevanza, ma che risulta secondario nel momento politico attuale. Sopite le ultime contestazioni interne, la leadership del Berlusconi dimezzato è salda, ma molto più quella di Giani Letta, vero dominus della scacchiera politica. La destra condivide le magnifiche sorti progressive del renzismo, al quale lo lega il tacito patto su futuri premi elettorali (che facciano fuori eventuali alternative al binomio destra-sinistra) e la convergenza sul prossimo inquilino del Quirinale, sul quale sembra avere un’opzione preferenziale Gianni Letta (tra l’altro lo spettacolo indecoroso degli avvocati dei boss mafiosi che ascendono al Quirinale rende probabile un avvicendamento anticipato al Colle).
È probabile che la situazione economica vada a peggiorare, stante il modo con il quale il governo sta affrontando la crisi. L’unica salvezza potrebbe venire da un qualche aiuto internazionale che ad oggi non si vede: la linea dell’austerity pervicacemente perseguita dall’Europa non pare conosca significativi attutimenti, al di là di alcune aperture marginali. E la Bce sembra aver raschiato il fondo del barile.
Né Renzi ha alcuna voce in capitolo in queste vicende, stante che non risulta, né potrebbe esserlo, un interlocutore per le cancellerie occidentali: i servi restano tali, anche se ricoprono cariche importanti.
Insomma, è il ristagno se non peggio. Una situazione che potrebbe risultare destabilizzante, ma che invece, più probabilmente, potrebbe portare un ulteriore restringimento delle tutele e delle libertà democratiche. Forse anche per questo l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, o chi per lui, non se ne preoccupa.
L’attuale volto sorridente e scanzonato del potere potrebbe allora assumere forme più autoritarie e autoreferenziali. Quelle mostrate in questa circostanza.
Anche per questo il disprezzo del dialogo con i sindacati assume un significato emblematico e degno di (una piccola) nota.
Dal fascismo al renzismo (anche Mussolini iniziò da sinistra). Una tragedia in forma di operetta.