Fuga dal voto, flop dei grillini
Tempo di lettura: 2 minutiLe amministrative sono state caratterizzate da una delle più basse percentuali di affluenza alle urne della storia d’Italia: poco più del 60% degli elettori si è recato a esprimere il proprio voto. Si sta progressivamente allargando il divario tra rappresentanti politici e cittadini; dato significativo e insieme preoccupante. Il problema è che, oltre allo storico scollamento tra partiti più o meno tradizionali e Paese reale, si è aggiunto anche un arretramento del voto di protesta, espresso stavolta con l’astensione.
Questi ultimi vent’anni, post tangentopoli e mafiopoli per intendersi, sono stati caratterizzati dalla nascita di Forza Italia in sostituzione della Dc e dalla trasformazione del partito comunista in un partito centrista. Una soluzione che ha retto per i primi anni, registrando in seguito un progressivo scollamento di consensi attorno ai due partiti maggiori. Se ne sono avvantaggiati i partiti minori, quali An (che però, anche al momento del suo massimo splendore, non ha superato di molto le percentuali precedenti del Msi) e Udc (anche se il voto a questo partito, in genere, è stato caratterizzato più da clientele che altro). Ma in genere la mancata adesione ai partiti maggiori ha invece favorito il voto di protesta, che si è incanalato in varie direzioni: a sinistra verso diverse formazioni definite estreme, che solitamente hanno avuto incidenza scarsa o nulla sui governi di centrosinistra ai quali hanno partecipato; a destra nella Lega, che per alcuni anni ha riscosso consensi significativi, ma soprattutto si è giovata di leggi elettorali che l’hanno aiutata, godendo di un rapporto voti-eletti più favorevole di altri.
Dopo la fine degli ultimi due organismi politici di protesta, la Lega e l’Italia dei valori, era arrivato Grillo, riuscendo nel capolavoro di presentarsi come unico vero antagonista della vecchia politica e incanalando così nel suo movimento tutti i voti di protesta del Paese (ormai la Lega, o quel poco che ne resta, vive del consenso di cui gode nelle città che amministra). Da qui il suo successo. Ora sembra che anche questa stella stia tramontando, dal momento che nelle amministrative, tranne Roma e poche altre eccezioni, non va sopra il 10%.
Il problema è che la politica reale non riesce più a interloquire con il Paese: troppo intenta a parlare con i poteri più o meno forti (banchieri, industriali, giornali, finanzieri), non riesce a percepire il grido che sale dal basso. Grido che viene recepito dai movimenti di protesta come quello di Grillo, che però fungono da mero megafono, non danno risposte. Se il movimento Cinque stelle riuscirà a cambiare, forse potrà avere un avvenire, altrimenti farà la fine degli altri. Lo ha capito anche Renzi, che sembra aver messo da parte la furia rottamatrice. Ma il sindaco di Firenze opera nell’ambito di un partito strutturato e tradizionale; per lo più la protesta cerca risposte altrove. Ma se Grillo non riuscirà a cavare un ragno dal buco, c’è da aspettarsi che altri prendano il suo posto. Potrebbero avere volti più inquietanti di quello di un comico.