Grecia: il referendum che ha cambiato il mondo
Tempo di lettura: 3 minutiLa vittoria del No al referendum greco, ovvero il rifiuto della proposta Ue basata su ulteriori prestiti in cambio di misure fondate su lacrime e sangue, non era scontata. Le scene di panico davanti alle banche alle quali abbiamo assistito in queste settimane, causate dalla stretta imposta dai creditori europei, poteva far ribaltare i pronostici sfavorevoli al SI.
La morsa della paura è potente. Tanto che l’ex ministro dell’economia greco Varoufakis ha parlato di terrorismo: «Quello che stanno facendo alla Grecia ha un nome: terrorismo. Perché ci hanno forzato a chiudere le banche? Per spaventare la gente. E quando si diffonde il terrore, questo è terrorismo».
Altre parole, ma concetto analogo quello espresso dal premier Tsipras dopo la vittoria: «La democrazia ha vinto sulla paura».
Resta che l’esito del referendum è parte di un iter negoziale ancora tutto da decifrare. Si farà un giro da trattative, ma la permanenza della Grecia nella Ue resta un punto interrogativo.
A illustrare quanto sta accadendo è illuminante un passaggio di un articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera a firma Ivo Caizzi, il quale riportava, e commentava, un brano del libro dell’ex segretario del Tesoro Usa Tim Geithner, relativo al 2012: «“Schauble mi disse he secondo molti, in Europa, cacciare i greci dall’eurozona era una strategia plausibile, perfino desiderabile. La Grexit sarebbe stata sufficientemente traumatica da spaventare il resto d’Europa, spingendola a favore di un forte sistema bancario e una unione di bilancio».
«Lasciar bruciare la Grecia avrebbe reso più facile la costruzione di un’Europa più forte con barriere più credibili”. A Bruxelles da tempo molti ipotizzano che la cancelliera Angela Merkel, usando il “mai più un’altra Grecia”, intenderebbe imporre una riduzione della sovranità nazionale dei Paesi dell’Eurozona con maxi-debito o squilibri eccessivi nei conti pubblici».
Brani significativi, che spiegano perché la tragedia greca appartiene a tutta l’Europa. La battaglia di Atene non è solo una contestazione alla linea dell’austerità imposta da alcune nazioni agli altri Paesi membri della Ue, Grecia in testa. Si tratta di una contestazione aperta di quella deriva che vede le istituzioni europee erodere sempre più i poteri dei vari Stati membri. Cosa che, paradossalmente ma non tanto, va in parallelo con l’erosione del potere delle istituzioni europee da parte della Germania.
Una deriva dalla quale ha messo in guardia anche Romano Prodi in un’intervista alla Stampa del 6 luglio, nella quale paventa il rischio della deflagrazione dell’Unione europea sotto la spinta di forze nazionali ormai «dominanti». Intervista interessante, quella dell’ex Presidente della Ue, specialmente per quanto riguarda un aspetto non secondario di un’eventuale Grexit: «Gli Stati Uniti e la Cina temono entrambi un evento deflagrante. Hanno paura che lo sfaldamento progressivo dell’euro provochi una nuova tempesta in tutto il sistema economico e politico mondiale».
Da qui una spinta esterna alla conciliazione dei duellanti europei.
Comunque vada siamo alla stretta finale. Da ieri il mondo non è più come prima. Degli oscuri dioscuri greci, tali Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, lo hanno cambiato usando della dimenticata arte della politica. Quell’arte che ha portato Varoufakis ad annunciare, subito dopo la vittoria, le sue dimissioni, aprendo così le porte a un eventuale accordo.
L’alternativa, una Grecia in fiamme (come dai desiderata di alcuni influenti ambiti europei), non sarebbe gestibile con la facilità asserita da politici ed economisti che dai media rilasciano analisi tranquillizzanti con involontario umorismo: sarebbe devastante a tutti i livelli, l’equivalente di una bomba atomica gettata nel cuore dell’Europa.
Anche per questo reputiamo che le chances di un compromesso siano più alte di quelle di una rottura definitiva. Un compromesso che avrà comunque il peso di una svolta. Questa sanguinosa battaglia avrà ripercussioni imprevedibili e a lungo termine.