Grillo, Renzi e la disfida delle europee
Tempo di lettura: 4 minutiGrillo contro Renzi: questo il vero scontro che ci attende alle prossime elezioni europee. È quanto scrive Fabio Martini sulla Stampa di domenica, in un articolo che merita attenzione. Tema dell’articolo, appunto, la bipolarizzazione del confronto, meglio dello scontro politico in atto: «Un fenomeno transitorio, prima o poi si tornerà alla classica divisione tra sinistra e destra, ma per il momento questa canalizzazione è destinata a durare», spiega, a Martini, il sondaggista Roberto Weber.
Già, perché il centrodestra è preda al caos, succube delle disgrazie giudiziarie del suo leader, dilaniato da lotte intestine e angosciato da un incerto e liquido futuro. Anche la sinistra del Pd, i vari antagonisti di Renzi, sono sulla difensiva e vivono sottotraccia. Gli altri partiti sono semplici comparse, stante che il loro unico scopo è non sparire nel chiuso delle urne (diverso il progetto della lista Tsipras, ma ne parleremo un’altra volta e comunque difficilmente raccoglierà molti consensi). Così l’unico vero antagonista del Matteo nazionale resta, appunto, Grillo. Un confronto invero impari: da una parte un movimento che può contare solo sui suoi mezzi, invero pochi: un blog e tanti entusiasti, a volte troppo entusiasti, militanti. Dall’altra il potere immenso del quale è stato investito un anonimo ragazzo di Pontassieve (si è già detto che mai un presidente del Consiglio italiano ha avuto nelle sue mani un simile potere: neanche De Gasperi al tempo in cui la Dc era maggioranza assoluta ha avuto così pochi fattori di contrasto).
L’articolo di Martini passa poi a descrivere i protagonisti della contesa. Mentre dei Cinque stelle si limita a riportare una cosa nota, ovvero che raccoglie consensi a destra e a sinistra, interessante è invece la descrizione del suo antagonista. Renzi, riporta Martini, allo storico discrimine sinistra-destra preferisce quello «conservatori innovatori». Non è solo una questione semantica, è una scelta di campo. Con questo riorientamento del Partito democratico, Renzi rivendica la sua distanza dall’idea della sinistra (storica o meno). Per avere un’idea di cosa significhi questo concetto di partito dell’innovazione si può prendere ad esempio il democratico Usa Bill Clinton, omologo del britannico Tony Blair (nume tutelare del renzismo). Sotto la sua presidenza, negli Stati Uniti nacque un’innovativa idea di economia, la new economy appunto. Una nuova visione economica che si accompagnò con un riorientamento del partito democratico, il quale si fece propugnatore di un neoliberismo che, relegando in secondo piano la difesa delle minoranze e dei diritti dei cittadini, lasciava la risoluzione dei problemi del lavoro e delle problematiche sociali del Paese allo sviluppo legato alle nuove tecnologie. Si venne così a fondare un capitalismo di tipo nuovo, più aggressivo, tecnocratico. Al di là delle basi teoriche del clintonismo, il quale più che teoria fu prassi, il capitalismo Usa spostò decisamente il suo baricentro verso l’ambito finanziario. La new economy divenne la nuova frontiera, il nuovo eldorado del capitale, in contrapposizione alla Old economy, l’economia fondata sulla produzione, considerata ormai secondaria per lo sviluppo del Paese e la sua proiezione nel mondo. Gli unici settori della Old economy che continuarono a essere percepiti come essenziali furono quelli strategici, come quello energetico, e quelli legati allo produzione e all’innovazione tecnologica. Si consolidò in quegli anni quel capitalismo finanziario del quale oggi siamo succubi, che ha aumentato a dismisura il divario tra ricchi e poveri e stritola interi popoli (vedi Grecia).
Torneremo sull’argomento, quel che importa sottolineare in questa sede è che l’idea di Renzi (o di chi per lui) di un partito fondato sull’innovazione, ovvero un neoliberismo tecnocratico, più che una scelta vera e propria si connota come l’adeguamento a un sistema internazionale ormai consolidato. Che al massimo può essere soggetto a correttivi, ma non può essere messo in discussione pena l’arretramento del sistema produttivo del Paese. Una scelta di campo che però non rende conto appieno del personaggio, che propone un nuovo approccio al sistema Italia, sia nel mondo del lavoro che nell’ambito dei meccanismi di governo; idee che suscitano consensi in ampi settori della popolazione come dimostrano i sondaggi.
Anche Grillo si pone sul piano dell’innovazione, portando la lotta politica sul terreno nel quale si muove Renzi. Ma l’innovazione per Grillo passa attraverso la rete, da sempre propugnata dal fondatore dei Cinque Stelle come strumento di rivoluzione. Idea alquanto vaga che, almeno in teoria, si vorrebbe porre al servizio della libertà e dei cittadini (il condizionale è d’obbligo dati i limiti inerenti all’idea di una democrazia fondata sul web). E però, nonostante la sua proposta politica si basi su un elemento virtuale come la rete, tocca e muove persone reali, tanto da essere al momento l’unico soggetto politico che ha militanti. Anche lui ha le sue proposte per riformare il sistema Italia, dal mondo del lavoro al sistema politico, ma, per Grillo, il cambiamento deve investire anche quel mondo della grande finanza di cui denuncia le storture a ogni piè sospinto.
Una sfida all’ultimo sangue, «destinata a incrudelirsi», come annota, al termine del suo articolo, Martini sulla Stampa. Sintomatica in tal senso la denuncia di Grillo di un prossimo dossier contro il suo alter ego Gianroberto Casaleggio, che sarebbe in uscita sulle colonne della Repubblica (è di oggi la notizia che Casaleggio ha avuto un problema cerebrale, come già un altro avversario di Renzi, Pierluigi Bersani: evidentemente la sfida all’ex sindaco di Firenze fa consumare un surplus di energie). All’accusa preventiva di Grillo, ha replicato domenica il giornale di Ezio Mauro, addirittura con un comunicato del Comitato di redazione, cosa alquanto desueta che rimarca l’importanza della reazione. Nel suo comunicato, il Cdr riporta l’ovvia considerazione che il giornalismo è fatto per dare notizie. E continua: «In democrazia, e in un Paese libero, raccogliere informazioni su un protagonista della vita pubblica, e sugli aspetti di rilevanza pubblica che l’opinione pubblica ha diritto di conoscere, non ha nulla a che vedere con il dossieraggio». Insomma, il dossier c’è (o ci sarà), anche se a Repubblica lo chiamano in altro modo.
Nel suo comunicato, Repubblica spiega anche come tale attività appartenga alla storia del giornale, che in passato ha rivelato altri retroscena di personaggi noti, contribuendo a un’opera di disvelamento degli inquinatori della vita pubblica. Sarà, resta che sulla vicenda della casa di Renzi – quella messa a sua disposizione dall’amico Marco Carrai, gestore di diverse attività del Comune di Firenze al tempo in cui Renzi era sindaco della città – Repubblica ha scritto davvero pochino (al contrario di altre testate). E questo nonostante in passato abbia ritenuto di notevole interesse pubblico altre case di politici, come quella di Giulio Tremonti o di Claudio Scajola, solo per fare alcuni esempi. Ma non è questa la sede per discettare sul giornalismo e sul grado di libertà dei cronisti, non solo della Repubblica (ce ne sono di bravi e meno bravi un po’ dappertutto). Si dà notizia della polemica solo per evidenziare la portata dello scontro politico in atto.
La posta in palio è alta, dal momento che sia Renzi che Grillo, con visioni diverse, hanno messo a tema un cambiamento profondo del sistema Italia, reputato necessario non solo dai due protagonisti dell’agone politico. Non sarà una disfida indolore.