Il Papa, la Merkel, i migranti
Tempo di lettura: 4 minutiL’Europa apre le porte ai migranti. È il bombardamento mediatico attuale, apologia di vento nuovo, abitato da accoglienza e apertura. Un nuovo inizio che non si può che salutare con gratitudine, dopo anni di inerzia di fronte all’ecatombe che si stava consumando alle porte del Vecchio Continente.
Ma restare fermi all’apologia non aiuta a capire tutta la complessità di una vicenda che accompagnerà il Vecchio Continente per i prossimi decenni, almeno due secondo le previsioni del Pentagono (un organo militare, uso ad analisi geopolitiche più che sociologiche, cosa che fa intuire la natura del fenomeno in atto).
Iniziamo, è d’obbligo, con la chiama di Francesco, che ha chiesto a parrocchie e monasteri del Vecchio Continente di aprirsi all’ospitalità. Un suggerimento nuovo ma in linea con l’antico, che dovrà essere declinato in modalità diverse, stante che una parrocchia vaticana è cosa diversa da una di campagna, per mezzi economici e strutture. Ma che è anche una chiamata alla cristianità tutta a guardare in modo nuovo questa gente. Un suggerimento che ha un respiro infinito, come infinito è il soffio dello Spirito del quale necessita il sostegno, perché senza di esso non si dà carità.
Diverso è il caso della svolta della Cancelliera Merkel, che oltre a motivi umanitari sembra sia dettata da nuovo pragmatismo. Intervistato dal Corriere della Sera del 7 settembre, Anand Menon, professore di Politiche europee e affari esteri al King’s College di Londra, ha spiegato che la Merkel, con tale riposizionamento, sta vincendo la gara del «mercato, che ha bisogno di nuova forza lavoro. Il governo tedesco va dai sindacati: vi portiamo qualche migliaio di lavoratori siriani, laureati. Evviva. In pace con la coscienza si bada al sodo».
Detto questo non si può che essere felici di un’eventuale convergenza tra esigenze umanitarie e di sviluppo. Meno piacevole sarebbe quel che sottolinea un articolo della Stampa dello stesso giorno, secondo il quale le autorità tedesche «stanno portando aventi una stretta sui migranti provenienti dai Balcani occidentali e privilegiando l’accoglienza dei profughi siriani perché dal Paese di Assad sta scappando una classe media, istruita, molto più funzionale all’industria tedesca dei migranti che provengono dall’Albania o dalla Serbia».
Fosse così saremmo davanti alla fiera dell’ipocrisia e a un’odiosa discriminazione tra migranti di serie A, da accogliere, e di serie B, da rifiutare o distribuire altrove.
Di certo la corsa all’accaparramento del profugo siriano, come da pronunciamento anche del premier britannico David Cameron, lascia alquanto perplessi, dal momento che la tragedia li accomuna ai tanti di altri Paesi.
Tra l’altro, sul punto occorre tener presente la tristezza con la quale i patriarchi locali da tempo denunciano la desertificazione della presenza cristiana in Siria, causa guerra. Una desertificazione in linea con i progetti dell’Isis e delle altre agenzie del terrore (e dei loro sostenitori). Non si tratta ovviamente di costringere la gente a restare nell’inferno che è diventata la loro patria, sarebbe disumano, ma di guardare in altro modo il problema. Occorre fermare il mattatoio siriano e iracheno e libico e nigeriano (e altro), alimentato dai professionisti della destabilizzazione.
Un mattatoio che si è svolto, e si svolge, «nel silenzio complice di tante potenze che potevano fermarlo», ha affermato ieri il Papa nell’omelia della messa celebrata a Casa Santa Marta. Dove la parola “complice” non è stata pronunciata senza ponderazione (né è stata ripresa dagli organi si stampa, a differenza di altri cenni papali).
La foto del piccolo Aylan, icastica rappresentazione della barbarie del tempo, ha fatto giustamente il giro del mondo, commuovendo e muovendo più di tante parole. C’è chi prendendo spunto dall’enfasi data a quella fotografia (e dalla sua manipolazione, ché Aylan sarebbe stato trovato altrove, come da foto che circolano nel web, e messo in posa dopo) per denunciare un progetto volto a inondare il Vecchio Continente di migranti, per far esplodere nuove conflittualità socio-religiose e creare un meticciato dai contorni indistinti, più consono ai dettami del divide et impera (oltre che infiltrarlo con agenti dell’Isis e di al Qaeda pronti all’uso).
Tesi motivata anche dal fatto che a gestire il traffico dei migranti verso l’Europa è la stessa rete che sostiene e alimenta il terrorismo internazionale (cosa peraltro incontrovertibile), verso la quale non c’è serio contrasto da parte delle forze di polizia e di intelligence.
Ma al di là della veridicità o meno di tale tesi, resta che l’Europa non può che accogliere i disperati che bussano alla sua porta, ma ha anche il dovere di porre fine alla destabilizzazione di quell’area per arrestare il tragico esodo e dare una possibilità di rimpatrio agli esuli. Anzitutto chiudendo il mattatoio siriano, focolaio dell’incendio.
Francia e Gran Bretagna hanno dichiarato di voler iniziare a bombardare l’Isis anche in quel Paese oltre che in Iraq. Non crediamo sia una soluzione, visti i risultati nulli, e ambigui, finora riscontrati dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa in tale ambito. Né le bombe finora scaricate sui Paesi arabi (Iraq, Siria, Libia) hanno risolto. Anzi hanno solo alimentato l’incendio.
Dichiarazioni belliche che peraltro alcuni analisti indicano come dettate dalla volontà di togliere spazio di manovra (e di futura influenza) a Mosca, che in questi ultimi tempi sembra stia intensificando il suo sostegno ad Assad.
Una motivazione che si intersecherebbe con un’altra. L’accordo sul nucleare iraniano offre nuove opportunità per un’eventuale trattativa di pace in Siria. Con le loro dichiarazioni, e le eventuali azioni conseguenti, Francia e Inghilterra si candidano, di fatto, a partecipare da protagonisti a un ipotetico tavolo negoziale dal quale, ad oggi, risultano marginalizzati (ma il rischio di farlo saltare con tali indebite ingerenze è grande).
Infine, a margine di questo scritto, ci si consenta una constatazione. Ad oggi le sanzioni varate contro la Siria, che includono medicine e generi di prima necessità, stanno mettendo a durissima prova una popolazione già stremata (solo le istituzioni religiose riescono in qualche modo a portare sollievo).
Finché Assad resterà al potere, a quanto pare, non c’è speranza siano revocate. E la gente continuerà a morire. Tanti Aylan continueranno a perire nei loro letti o nelle loro case devastate dai bombardamenti. Dei quali non vedremo foto, perché non importerà nulla a nessuno, o quantomeno non a chi ha il potere di togliere tali restrizioni.
Si può iniziare un dibattito sulla loro revoca? È possibile, stante le fortissime resistenze di quanti agitano questa guerra per motivi geopolitici, quantomeno alleggerirle e fare in modo che non colpiscano indiscriminatamente la popolazione?
Ad oggi la questione non è neanche all’orizzonte. Contraddizioni del nuovo umanitarismo europeo che, però, nonostante le ambiguità e le derive da denunciare, potrebbe riservare sorprese.