L'esercito prende il comando dell'Egitto
Tempo di lettura: 2 minuti«Le forze armate hanno capito le richieste del popolo egiziano. Per questo la Costituzione è sospesa, presto saranno indette le elezioni presidenziali, il Capo dell’Alta Corte costituzionale reggerà il Paese fino a quel momento, verranno formati un governo di coalizione e una commissione per emendare la Costituzione, i giovani saranno inclusi nel processo decisionale». È il comunicato ufficiale diramato a reti unificate da Abdel Fatah Al Sisi, il capo delle forze armate, dopo una giornata convulsa che ha visto l’Egitto giungere a un passo dal precipizio di una guerra civile. Prima dello scadere dell’ultimatum dei generali, che avevano imposto a Morsi la riconciliazione con l’opposizione o le dimissioni, il presidente egiziano aveva usato parole dure, spiegando in Tv che il suo governo era stato legittimato dalle elezioni, e che un eventuale intervento dei militari era da considerarsi alla stregua di un colpo di Stato.
Insomma, Morsi non ha concesso nulla. Così, quattro ore dopo lo scadere dell’ultimatum, l’esercito è intervenuto, arrestandolo. L’intervento è avvenuto dopo una lunga trattativa tra i militari, i vari partiti di opposizione, i rappresentanti di Al Azhar, la più autorevole istituzione islamica del mondo arabo, i salafiti di Nur e i cristiani copti – anche Papa Tawadros II ha preso posizione in favore dei manifestanti. Tutti uniti nella richiesta di un cambiamento che, d’altra parte, era assecondata dalle pressioni provenienti dal mondo intero.
Il problema di Morsi è che è rimasto schiacciato tra la rigidità dei Fratelli musulmani, il movimento islamico che lo ha portato al potere, e la complessità di un Paese dalle diverse anime. Da qui il suo fallimento. Resta da capire se quanto accaduto ieri, a un anno esatto dalla destituzione di Mubarak, sia da considerarsi un passo ulteriore verso la democratizzazione del Paese, oppure un ritorno, sotto altre spoglie, all’autoritarismo. Ad oggi nessuno lo sa o può prevederlo. Molto dipenderà anche dalla conflittualità che potrebbe scatenarsi da domani. Ieri l’esercito ha pesantemente presidiato i punti nevralgici del Paese, effettuando arresti nei confronti dei Fratelli musulmani – alcuni esponenti di spicco avevano invitato i propri correligionari al martirio – e chiudendo Al Jazeera. Uno scenario da golpe, come denunciato da alcuni, ma al momento ha evitato un bagno di sangue.
Tante le incognite al momento: il ruolo dei militari, che non hanno dalla loro parte solo l’esercizio della forza, ma anche un peso notevole sull’economia del Paese; la reazione dei Fratelli musulmani a un’altra repressione – già subita sotto la reggenza di Mubarak -; l’imprevedibilità dei salafiti, che altrove, nel mondo arabo, hanno dato vita a movimenti di stampo terroristico; la crisi che attanaglia il Paese, che sta allargando in maniera paurosa le fasce di povertà, creando schiere di disperati pronti a tutto. Tante incognite, una sola certezza: la Primavera araba è fenomeno articolato e complesso, che non manca di drammaticità. L’irenismo con il quale è stata salutata dalle cancellerie occidentali, alla prova dei fatti, si è dimostrato tragicamente irrealistico.