16 Ottobre 2014

Quando i turchi bombardano i curdi

Quando i turchi bombardano i curdi
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«Aerei dell’aviazione turca hanno bombardato la notte scorsa obiettivi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel sud-est del Paese: si tratta del primo bombardamento dal cessate il fuoco dichiarato dai ribelli curdi nel marzo del 2013. Lo si apprende da fonti dei servizi di sicurezza. Secondo il quotidiano Hurriyet i bombardamenti – effettuati con aerei F-16 ed F-4 vicino al villaggio di Daglica non lontano dal confine con la Turchia – hanno causato molte vittime». Una breve notizia Ansa, che abbiamo riportato per intero perché segnala una novità importante nel quadro del conflitto contro l’Isis e che poco spazio ha trovato nelle cronache dei giorni successivi.

 

Le autorità di Ankara hanno motivato l’attacco come ritorsione ai moti dei curdi che stanno manifestando con vigore la loro contrarietà alla scelta del governo di abbandonare al suo destino Kobane, la città siriana a maggioranza curda stretta sotto assedio dall’Isis. Ankara non presta aiuto agli assediati, nonostante Kobane si trovi al suo confine, anzi, non permette neanche che i curdi turcofoni varchino la frontiera per prestare aiuto. Sulle omissioni turche riguardo Kobane abbiamo scritto in precedenza, non ci torneremo.

 

L’immobilsmo turco riguardo Kobane ha suscitato notevoli contrarietà sia negli Usa che altrove. Alcuni osservatori, anche in Italia, lo hanno motivato come una scelta di campo di Ankara, la quale preferirebbe avere alle frontiere l’Isis piuttosto che i curdi e preme per rovesciare Assad. Ma quanto successo il 13 ottobre segnala una novità. Il bombardamento dei curdi, infatti, giunge in un momento particolare di questo conflitto: dopo settimane di immobilismo, finalmente l’aviazione dell’alleanza anti-Isis ha iniziato a fare sul serio dimostrando che l’assunto secondo il quale solo con gli aerei non si possono contrastare le milizie jihadiste è propaganda. Infatti, dopo pochi giorni di raid veri e non dimostrativi, i curdi di Kobane hanno guadagnato terreno, ricacciando indietro gli aggressori. I quali, tra l’altro, episodio simbolico, hanno dovuto ammainare la bandiera nera issata alle porte della cittadina.

 

È a questo punto che la Turchia ha bombardato i curdi, poco importa che ciò sia avvenuto sul proprio territorio, lanciando un segnale inquietante: di fatto si tratta di una dichiarazione di guerra ai curdi. Un atto di guerra con il quale, tra l’altro, si è stracciato un accordo di pace negoziato con il Pkk, fortemente voluto da Erdogan in vista della sua elezione a Presidente.

 

Tayyp Erdogan si conferma un attore non secondario dell’instabilità mediorientale: dopo aver sostenuto le formazioni legate ad al Qaeda in Siria (e altrove) ora vuole condizionare le scelte dell’alleanza anti-Isis messa insieme da Obama. Ha dalla sua la forza dell’esercito turco, uno dei più potenti del mondo, e i legami che in questi anni, grazie alla Fratellanza musulmana, ha intessuto con gli jihadisti che hanno infiammato la regione.

Per molto meno alla Russia sono state comminate dure sanzioni (peraltro ingiustificate): in questo caso è a tema il sostegno attivo a una formazione dedita al terrorismo internazionale e/o il deragliamento di un’operazione di contrasto alla stessa. Nessuna sanzione sarà comminata ad Ankara, anche se, in questo caso, avrebbero qualche effetto perché darebbero forza a quanti nel Paese non condividono le posizioni del governo.

 

Così che l’ambiguità turca fa il paio con l’ambiguità che circonda tutta questa operazione anti-Isis. Troppi interessi in questa oscura vicenda, che rischiano di saltare a causa di quattro straccioni che con la loro eroica resistenza, a Kobane come altrove, hanno infilato un sassolino imprevisto in questo meccanismo perverso, rischiando di farlo saltare in aria. Anche per questo danno così fastidio, tanto da costringere alcuni attori di questo dramma a lasciare da parte ogni residua parvenza di legittimità al loro agire. Una deriva, peraltro, ancora più pericolosa.

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