"Sei anni per Berlusconi"
Tempo di lettura: 2 minutiIlda Boccassini conclude la sua requisitoria chiedendo sei anni di carcere per Silvio Berlusconi e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Finalmente si conclude un processo che ha tenuto banco negli ultimi anni, con una esposizione mediatica senza precedenti. Un processo per induzione alla prostituzione, con l’aggravante che una delle protagoniste della soap opera era minorenne, anche se in effetti sarebbe difficile per chiunque indovinarne la minore età.
Una prima considerazione riguarda proprio la pubblicità della vicenda, che sconcerta: un altro processo, ad esempio, quello sulla trattativa Stato mafia, dove i reati contestati sono ben più gravi, dal momento che si occupa di stragi che hanno sconvolto l’Italia, non ha avuto che una infinitesima parte di attenzione che ha avuto questo. Eppure sarebbe davvero interessante capire cosa c’era davvero dietro la strategia stragista che ha chiesto la vita a Falcone, a Borsellino e agli uomini della loro scorta. È un’inchiesta che rischia di riscrivere la storia d’Italia degli ultimi venti anni, ma la si ritrova, quando i giornali ne accennano, relegata in un angolo della cronaca. Una distorsione che suscita domande. Anche in considerazione che in una di queste stragi è stato appurato un depistaggio ad opera degli organi dello Stato: la strage di via d’Amelio fu indirizzata altrove, costruendo prove false e fuorvianti. Tra l’altro su quella strage, all’inizio, indagò anche la Boccassini, prima di volare a Milano. È un magistrato di indubbie capacità investigative. Se fosse rimasta su quell’inchiesta, magari avrebbe potuto dare un contributo notevole. Anche perché questi depistaggi sono stati accertati molti anni dopo, quando ormai altre piste si erano raffreddate, rendendo più difficile il lavoro ai magistrati.
Colpisce anche la richiesta di una interdizione perpetua ai pubblici uffici che appare, invero, eccessivamente punitiva.
Questi e altri elementi hanno dato il destro a Berlusconi di denunciare un accanimento giudiziario e di parlare di processo politico. Non sappiamo se ha ragione, ma certo alcune scelte della magistratura ne hanno favorito le lamentele.
Al di là del caso specifico, resta la difficoltà di un Paese in preda a convulsioni. È da Tangentopoli che la magistratura ha occupato un ruolo di primo piano nel contesto della politica italiana. Non è un bene per la politica, né per la magistratura, né, soprattutto, per il Paese. In particolare, non è un bene che gli avversari politici di Berlusconi, di destra e di sinistra (dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io, recita il detto), più che sui programmi e sui consensi nell’elettorato, puntino tutto sulla sua eliminazione per via giudiziaria. Non lo merita un Paese che si attende dalla classe politica risposte alla crisi che la attanaglia, non il tifo per questo o quel magistrato.