Soldi ai partiti, stop entro luglio
Tempo di lettura: < 1 minuteEnrico Letta accelera e chiede al governo di varare a breve una legge per porre termine al finanziamento pubblico ai partiti. Altrimenti si passerà a un decreto. Va così a concludersi una lunga querelle che agita da anni la politica italiana. Vista come una panacea, come un passaggio inevitabile per moralizzare la politica, la misura comporta invece il rischio opposto. Senza il finanziamento pubblico, la politica dovrà per forza di cose legarsi alle lobby economico-finanziarie, al di là di tante visioni illusorie sul punto. Renderà la politica ancora più influenzabile dalle banche e dai singoli grandi donatori, quelli, per intenderci, che possono fare la differenza in una competizione elettorale. Una influenza che si verificherà ben al di là delle singole tornate elettorali. Basta vedere quel che accade negli Usa, dove la lobby delle armi, forte del finanziamento bipartisan a esponenti democratici e repubblicani, impedisce da decenni una legge per il controllo degli armamenti, nonostante le ripetute stragi di innocenti. Né è pensabile immaginare che questa misura possa impedire una politica di rapina: se è vero che ci sono stati fondi di partito usati in maniera illecita, è vero anche che le cronache giudiziarie sono piene di singoli approfittatori.
Ma tant’è. Sulla questione sono stati versati oceani di inchiostro e quindi l’attuazione della norma è ormai inevitabile (quando sarebbero bastati semplici correttivi alla legge attuale e controlli efficaci per evitare degenerazioni). Bene fa Enrico Letta, dal suo punto di vista, a cavalcare la tigre: dà un segnale di moralizzazione della politica pubblica, rafforza l’immagine del suo governo, scavalca a sinistra le critiche contro l’inciucio.