Spari e paura nel giorno del governo
Tempo di lettura: 3 minutiSul giuramento del nuovo governo è scesa l’ombra. I colpi esplosi da Luigi Prieti che hanno ferito due carabinieri (uno forse rimarrà paralizzato) hanno molto di oscuro e inquietante. Come scrive Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, per alcuni minuti si sono riaffacciati fantasmi del passato: i giorni del rapimento Moro, della sua esecuzione. Il contesto in cui si è svolto il crimine era, infatti, «simile: la crisi economica, i partiti che arrancano. E un giorno particolare, l’insediamento di un governo di “larghe intese”» (Aldo Moro fu rapito nel giorno in cui veniva votata la fiducia al governo Andreotti sostenuto dal Pci). Comunque, al momento, pare sia stato il gesto di un isolato e non un attentato terroristico.
Luigi Prieti è originario di Rosarno, dove la presenza della ‘ndrangheta è fortissima, e sembra aver colpito per disperazione. Non un folle, anche se all’inizio ha tentato di accreditarsi come tale, dicendo che udiva “voci”, ma un disperato che ha deciso il gesto eclatante. Anche se c’è ancora da ricostruire tanto della dinamica delittuosa: anzitutto dove ha trovato la pistola con la matricola abrasa, che ha spiegato di aver comprato a Genova, ma che invece, presumibilmente, è di origine mafiosa; inoltre bisogna capire se davvero, come dice lui, ha agito solo o se ha goduto di qualche aiuto.
Comunque, al di là della cronaca nera, il governo ha giurato. Ed è un esecutivo di compromesso, come auspicato dal Capo dello Stato, nel tentativo di porre fine alla guerra civile che ha contrapposto da anni l’una parte all’altra in un conflitto che ha stretto l’Italia in una lotta continua con nocumento per l’ordinaria amministrazione del Paese. Non tecnico, ma politico, come richiesto dal Quirinale per un esecutivo che abbia il tempo necessario per tentare di risanare l’Italia.
Tra i ministeri che contano, quello degli Interni e quello della Giustizia sono stati affidati rispettivamente ad Angelino Alfano e alla Annamaria Cancellieri. Scelta ovvia: non poteva essere un uomo di Forza Italia a guidare il dicastero della giustizia in un momento in cui i processi contro Silvio Berlusconi si avviano alla conclusione. E la Cancellieri, dopo la prova data nel precedente governo, non poteva che essere riconfermata. Fabrizio Saccomanni all’Economia potrebbe, sempre che le condizioni interne e internazionali lo consentano, favorire una correzione, almeno in parte, del rigorismo precedente. Uomo di Bankitalia, ha però in passato duramente criticato le Agenzie di Rating e questo, oltre ad altro, gli accredita una qualche libertà di giudizio rispetto al dogmatismo mercatista. Agli Esteri la Bonino è figura un po’ ambigua: donna simbolo della lotta per i diritti umani, ha luci e ombre, queste ultime derivanti da un passato speso a sostenere diversi interventi armati a scopo “umanitario”. Il problema è che l’esponente radicale si troverà ad affrontare una crisi senza precedenti: la Siria. Potrebbe affrontarlo con realismo, esplorando o sostenendo vie di pace, o potrebbe invece allinearsi alla propaganda bellica che sostiene acriticamente i cosiddetti ribelli e rischia di incendiare tutto il Medio Oriente. Al di là di quanto farà la Bonino, è comunque una notizia l’esclusione di Giuliano Amato dall’esecutivo, nonostante l’ex braccio destro di Craxi fosse dato come favorito proprio al ministero agli Esteri. E dire che l’uomo ha notevoli rapporti internazionali (è stata apprezzata la sua recente presentazione della figura del gladiatore Spartaco esposta al Centro Studi americano sito in via Caetani). Ennesima bocciatura per il leader socialista, già accreditato per il Quirinale e come possibile capo dell’esecutivo alternativo a Enrico Letta.
Quanto a quest’ultimo, ha avuto il merito di riuscire a comporre un governo ampio, nonostante le difficoltà decennali di dialogo tra i due poli. Tante donne, un ministro del lavoro attento al lavoro (attributo non secondario per chi detiene questo dicastero, ma spesso, in passato, non presente); una larga intesa anche con Comunione e liberazione che incassa due ministeri (ma non quello della salute, come richiesto). Piace segnalare anche la presenza della prima donna di colore Cécile Kyenge, originaria della Repubblica democratica del Congo, titolare del dicastero dell’Integrazione. Anche perché la sua presenza potrebbe portare all’attenzione dell’opinione pubblica italiana il dramma del suo Paese d’origine, da decenni vittima di una guerra feroce (5.4 milioni di vittime, una cifra che fa impallidire tutti gli altri conflitti in atto), alimentata dalle grandi multinazionali per depredare le risorse del sottosuolo.
Ovviamente le larghe intese attirano critiche, in particolare del Grillo nazionale. Ma è bene che ognuno faccia il suo gioco. Un governo incalzato da destra (ex An), da sinistra (Sel) e da Grillo, può essere aiutato a sostenere piani di sviluppo e a non cadere nelle trappole dell’inciucio, sempre in agguato.