Unipol, decise tutto Berlusconi
Tempo di lettura: 2 minutiEsce la motivazione della sentenza di condanna contro Silvio Berlusconi per la pubblicazione sul Giornale della telefonata tra Consorte e Fassino relativa allo scandalo Unipol. Berlusconi avrebbe deciso tutto da solo e fatto pubblicare quella intercettazione per conseguire un vantaggio politico. Il reato commesso dal Cavaliere è quello di rivelazione di segreto d’ufficio, avendo reso pubblici atti giudiziari riservati.
La notizia viene pubblicata sui giornali italiani che negli ultimi anni hanno violato sistematicamente il segreto d’ufficio relativo a indagini in corso, facendo della pubblicazione di simili documenti un punto fondante di un giornalismo di un’informazione più aggressiva. Né può essere preso a discrimine il fatto che nel caso di Berlusconi era chiaro l’intento di trarre un profitto a differenza di altri casi. Un reato resta tale al di là delle motivazioni per i quali si commette.
Al di là della figura del Silvio nazionale, la sentenza sconcerta: la legge è uguale per tutti, ma evidentemente per alcuni è più uguale che per altri.
Con il suo sostegno a un esecutivo di larghe intese, il Cavaliere aveva sperato in un momento di tregua in questa decennale guerra civile tra destra e sinistra, ma se la tregua non tiene potrebbe saltare tutto e precipitare il Paese verso un’altra tornata elettorale.
Non che un magistrato dovrebbe omettere un suo dovere d’ufficio per evitare un male nazionale. Ma siamo di fronte a una sentenza che evidenzia un inceppamento nel meccanismo giudiziario, tale che una legge è applicata solo in un caso e non su migliaia di possibili altri casi che sono di fronte agli occhi di tutti – basta sfogliare i giornali -, la politica dovrebbe essere chiamata a porre rimedio tramite il Parlamento, in cui risiede la sovranità popolare. C’è il rischio di un’arbitrarietà dell’azione penale che non appartiene a uno Stato di diritto. E che oggi va a nocumento del Cavaliere, domani chissà. Magari degli stessi che oggi esultano per una sentenza che mette in seria difficoltà un avversario politico.