Crociata: il sacerdote non deve essere né un mestierante né un mago

«Abbiamo bisogno di tornare sempre di nuovo sulle cose importanti della vita cristiana. Siamo esseri limitati, che possono occuparsi di una cosa per volta, e perciò rischiano di disperdersi dietro tanti pensieri dimenticando motivazioni di fondo e attenzioni essenziali (…). Abbiamo sempre bisogno di tornare all’essenziale della nostra vita e della nostra fede, un bisogno che si è fatto ancora più stringente in quest’epoca». Così monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, a un ritiro spirituale di vescovi, presbieteri e diaconi del Friuli-Venezia Giulia che si è tenuto a Udine ai primi di novembre.
Il sacerdote, ha proseguito il presule, non dovrebbe mai perdere di vista «che, quando celebra e svolge il suo ministero, mette in gioco la sua salvezza insieme a quella degli altri. In particolare egli deve guardarsi dai due pericoli che minacciano la specificità del suo servizio, e cioè quello di ridursi a mestierante o, all’opposto, a mago. Il solo modo di sottrarsi a tali pericoli è conservare e coltivare il senso del “mistico” (…). Il senso del mistico è il senso di Dio, la coscienza umilmente credente di avere realmente (cioè sacramentalmente e santamente, e non solo simbolicamente) a che fare con Dio. Se vogliamo, è il timore di cui parlano diffusamente i sapienti d’Israele. Un ministro sa di avere a che fare con Dio quando celebra, quando lo annuncia e insegna, ma anche quando tratta le persone, e in particolare si relaziona a loro nell’attività pastorale. E le persone, non meno dei sacramenti e della Scrittura, sono terreno sacro, terra di Dio da accostare con incondizionato rispetto e attenzione».
Le parole di monsignor Crociata sono state riprese dall’Avvenire del 9 novembre.