Di confessioni e Papi
Tempo di lettura: 5 minutiDagospia rilancia un articolo che Ersilio Mattioni ha scritto per la rivista Millennium (mensile del FattoQuotidiano), nel quale il cronista si dedica alla difesa del povero papa Francesco in maniera alquanto bizzarra, ovvero attraverso un sacrilegio, il peccato più grave che si possa commettere contro il Signore.
Egli infatti gira per confessionali accusandosi di peccati non commessi e aggiungendovi considerazioni che vanno contro le catechesi di papa Francesco, per appuntare sul suo taccuino le reazioni dei sacerdoti. Un sacrilegio del sacramento della confessione, appunto, e reiterato. Egli ha una scusante nel fatto di non aver piena coscienza del peccato commesso, cosa che va tenuta in debito conto.
Resta gravissimo che per difendere un Papa, il Papa, si usi e si consumi un sacrilegio. Da non reiterare.
Nel suo esercizio contro il Signore, egli provoca i suoi interlocutori, registrandone la loro avversione ai gay, ai migranti e altro. Non prendiamo per oro colato il suo report, perché quanti hanno subito tale gogna mediatica hanno diritto di difesa, come tutti. Né piacciono certi metodi da Gestapo, nei quali il provocatore di turno procede a un esercizio di delazione all’autorità costituita.
E però, pur nelle necessarie premesse, e pur ammettendo che si sia imbattuto in sacerdoti poco caritatevoli, e non stentiamo a crederlo, il suo esercizio critico non appassiona. Ciò perché la Chiesa non ha mai avuto la pretesa che tutti i suoi sacerdoti fossero santi, benché non possa non desiderarlo.
Ai sacerdoti la Chiesa chiede semplicemente di amministrare i sacramenti del Signore, come appunto quello della confessione, violato in maniera così poco rispettosa dal cronista.
Al di là della santità dei sacerdoti, quel che vale e conta per i poveri peccatori che si accostano a tale sacramento è l’opera di Dio, che usa anche di ministri non degni per elargire i suoi tesori di grazia. «Siano Pietro, o Paolo, o Giuda a battezzare, in realtà colui che battezza è sempre Cristo», scriveva sant’Agostino.
Né appassiona la registrazione di una distanza tra tali sacerdoti e la catechesi del Papa. Un papa dipinto come un rivoluzionario, una sorta di Che Guevara biancovestito, forse perché l’idea di una Papa come umile successore di Pietro appare alquanto banale.
In realtà Francesco non fa altro che ripetere, con declinazione personale, il dettato del Signore, che invita i suoi ad amare il prossimo come se stessi: siano essi migranti, gay o eterosessuali italiani. I sacerdoti manchevoli sotto questo profilo non fanno solo un torto a Francesco e al suo Pontificato, ma a Dio, cosa “un pochino” più importante.
Detto questo colpisce un passaggio dell’articolo: «Recitata con diligenza la nostra parte, introduciamo il concetto dell’infallibilità ex cathedra. Ci sentiamo rispondere che non è questo il caso. Perplessi, chiediamo spiegazioni, perché siamo sicuri di averlo letto da qualche parte. La replica è spiazzante: “Quando il Papa parla di dottrine o di dogmi di fede, allora sì che è infallibile. Ma quando esprime un parere, come sulla politica, può anche sbagliare. Come tutti noi”
».
Non è cinismo, come annota il cronista, è semplice dottrina cristiana, che distingue tra dogma e magistero papale. L’ultimo pronunciamento di valore di fatto dogmatico di un Papa risale a Giovanni Paolo II e riguarda il sacerdozio maschile (la cui «sentenza deve essere tenuta in modo definitivo
», conclude il documento).
Da allora, sia Giovanni Paolo II, che Benedetto XVI che Francesco hanno esercitato il magistero papale che gli era proprio, che certo non ha valore nullo, ma non ha il valore di dogma che vorrebbe ascrivergli il libertario cronista. Che non pare comprendere come per la Chiesa, e per il mondo, la libertà dei figli di Dio è un bene prezioso, da difendere dai clericali di destra e di sinistra.
Grazie a Dio la Chiesa non si è mai dotata di una Gestapo per piegare i propri ministri al magistero papale, che nei secoli ha conosciuto sensibilità e declinazioni diverse a seconda dei papi che si sono succeduti sul soglio di Pietro. E il magistero di papa Borgia, per fare un esempio estremo, non ha meno valore di quello di Francesco…
Insomma il report di Mattioni è una banalità che vuol farsi denuncia. Dove la vera denuncia sta in un aspetto che il cronista, non avendo forse contezza di cosa sia la fede cattolica né avendo appreso il cuore della catechesi di Francesco, non rileva.
Infatti quel che desta perplessità in questo articolo è che il confessionale sembra essere decaduto a sede di dibattito.
La confessione serve a dichiarare, meglio accusare, i propri peccati e a ricevere la sentenza divina, ovvero l’assoluzione. E del caso, se proprio necessario, una parola di conforto o di aiuto. Nient’altro.
Se diventa luogo nel quale discettare di questioni sociali, ecclesiali o politiche, tale prezioso tesoro di grazia diventa commisto alle umane miserie, per non usare termini più forti.
Peraltro, una delle condizioni per fare una buona confessione è la brevitas, che si richiede al penitente come al sacerdote, condizione tanto spesso obliata in favore di una vacua verbosità.
Da questo punto di vista la distanza tra la catechesi di Francesco e i ministri di Dio interpellati, sempre se è vero il report, si pone proprio a tale livello, non rilevato dal cronista di Millennium. Ciò perché il Papa ha insistito tanto sull’importanza della confessione, un sacramento del Signore, non un ambito nel quale scambiare umane riflessioni.
Resta che Francesco non ha bisogno di certi difensori. Categoria alquanto varia e variabile di figure intellettuali che, non avendo la fede e/o non avendo contezza che la Chiesa la difende il Signore nei modi e nelle forme che vuole lui, si sono arrogati lo strano compito di difensori papali e dell’idea di Chiesa a questi correlata. Un’idea di Chiesa che magari è la loro e non del Papa.
Ma al di là, val la pena riportare la conclusione dell’articolo: «Il cattolicesimo romano è una pozione magica, che porta l’uomo dentro un confessionale e lo toglie dagli impicci, scioglie le sue lacerazioni. Lo fa con il perdono, che è appannaggio di chiunque. Basta chiederlo
».
Una considerazione, quest’ultima, che pare scandalizzi il cronista. E questo nonostante il Papa che dice di voler difendere abbia insistito, e tanto, sulla facilità con la quale il fedele deve ricorrere al confessionale anche portasse il peso di tanti e gravi peccati e sulla necessità dei sacerdoti di non far mancare loro la carezza del Signore, ovvero l’assoluzione (dove possibile, ovvio).
Sì, basta semplicemente chiederlo. Perché ciò appartiene alla grande rivoluzione portata dal cristianesimo. Al suo meccanismo segreto, a quella dinamica divina propria della grande rivoluzione che Gesù ha portato nel mondo (molto prima di Francesco, osiamo ricordare al cronista di Millennium): bussate e vi sarà aperto.
E ciò nonostante l’indegnità dei poveri peccatori che bussano e dei poveri peccatori che, dall’altra parte del confessionale, quella porta aprono in nome e per conto di nostro Signore. Una grazia della quale potrà giovarsi, a Dio piacendo, anche il cronista di Millennium.