"Il figlio da se stesso non può fare nulla"
Tempo di lettura: 13 minutiPubblichiamo una meditazione di don Giacomo Tantardini sul libro di don Luigi Giussani “Si può vivere così?” (capitolo: “L’obbedienza”) del 19 Novembre 2008,
Angelus
A pagina 118 volevo rileggere queste frasi, queste righe di Giussani. Sta parlando dell’ubbidienza che nasce dall’attrattiva sua, dall’attrattiva di Gesù: «se mi amate – dice Gesù – osservate i miei comandamenti». È anche un comando, ma prima di essere un comandamento è una constatazione. L’osservanza dei suoi comandamenti nasce dal fatto che gli si vuole bene: «se mi amate osservate i miei comandamenti». Come la grazia di una corrispondenza che quasi senza accorgersi diventa ubbidienza. Perché così si gioca il mistero della libertà. Pag. 118:
“Sono stati con Lui. Badate: non dalla sua parte; non si può dire soltanto «dalla sua parte», come se avessero approvato quello che Lui diceva, non hanno detto: «approviamo quello che tu dici», perché non capivano neanche loro; ma «con Lui» sì. Hanno seguito Lui, hanno aderito a Lui, nonostante che non capissero. Mi spiego? Hanno seguito Lui [così nasce e così rimane e così vive la vita cristiana: hanno seguito Lui. E seguendo Lui poi, poi, quelle parole sono diventate luminose e piene di realtà. Anche le sue parole! Ma seguendo Lui; seguendo Lui anche le sue parole sono diventate luminose e piene di realtà]”.
Allora oggi faremo quello che viene indicato come compito. E parlando dell’obbedienza mi è sembrata la cosa più semplice, di ubbidire a questo compito se no invece di ubbidire facciamo i discorsi sull’ubbidienza. Ed è una delle tentazioni anche del popolo cristiano.
“Come compito, leggerete i capitoli dal quinto all’ottavo del vangelo di Giovanni, cercando tutte le frasi che in questi quattro capitoli hanno un significato di sequela, hanno un significato di obbedienza, tutte le frasi che dimostrano che Cristo era obbediente al Padre [poi dirà anche di leggere i capitoli dal quattordici al diciassette che sono i capitoli dell’ultima cena]”.
E poi a pagina 124 dà il suggerimento:
“Capire le cose [vuol dire anche il vangelo] che uno dice esige il minimo di fatica che si possa concepire [non esige una grande fatica, esige il minimo di fatica che si possa concepire], esige semplicità, esige di avere il cuore da bambino; e stare attenti a come lui le fa [come Gesù fa le cose] esige anche questo una curiosità da bambini [esige di avere il cuore da bambino. E stare attenti a come Gesù fa – per esempio leggendo il vangelo – esige anche questo una curiosità da bambino]”.
Allora iniziamo leggendo alcuni brani. Innanzitutto proprio l’inizio del capitolo quinto di Giovanni:
“Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betseda, con cinque portici [il fatto della piscina a cinque portici era, nella lettura modernista del vangelo, uno degli argomenti per dire che il vangelo di Giovanni era simbolico ma non era reale. Invece anche a livello archeologico è proprio stata trovata la piscina alla porta delle Pecore a cinque portici.
È una delle scoperte dell’archeologia cristiana più interessanti a Gerusalemme, perché è una cosa strana una piscina a cinque portici, normalmente ha quattro portici], sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto [questo è un versetto che non c’è nel testo di Giovanni].
Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina». Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse”.
Questa è una delle cose più belle del vangelo di Giovanni – anche nel miracolo del cieco nato, il cieco nato non sapeva –, perché prima viene la realtà e poi il nome. Prima accade qualcosa, poi diventa interessante anche il nome. È questo che accade anche nei bambini: che prima c’è la realtà del papà e della mamma. Prima del nome! Questo accade anche nell’esperienza cristiana: prima viene la realtà, prima viene la realtà della grazia che attrae e poi il nome, poi si domanda il nome.
Da questo punto di vista l’omelia che il primate della comunione anglicana ha fatto a Lourdes è secondo me uno dei miracoli pubblici più grandi che sono successi in questi tempi. Perché che un fedele cristiano, perché battezzato e forse anche segretamente ordinato sacerdote e vescovo – perché molti anglicani si fanno ordinare visto che le loro ordinazioni (durante le persecuzioni della regina Elisabetta è saltata la successione apostolica) di per sé non sono valide. Quindi alcuni di loro si fanno ordinare segretamente da vescovi non in comunione con Roma, dai vetero cattolici, ma si fanno ordinare preti e sacerdoti perché sia valida l’ordinazione –, però che un battezzato, fedele, cristiano, comunque che il primate degli anglicani a Lourdes abbia detto le cose che ha detto – per questo leggete le cose che ha detto su 30giorni –.
E anche lui dice proprio una cosa così: “quando Maria apparve a Bernadette, lo fece all’inizio come figura anonima, una bella signora, una «cosa» misteriosa [tanto è vero che Bernadette dice: «quella cosa lì», «Aquerò»], non ancora identificata come la Madre Immacolata del Signore. Bernadette, priva di istruzione, ignara di catechesi, saltò dalla gioia, riconoscendo che lì c’era la vita, lì c’era la guarigione”. Prima viene il miracolo e poi si domanda il nome.
“Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
Ma Gesù rispose loro [e qui inizia il dialogo su quale testimonianza Gesù ha, su quale testimonianza Gesù dona. Per dire quello che dice, che è il Figlio di Dio, che testimonianza dà per dire quello che dice. Tutto il capitolo quinto potrebbe essere letto così: quale testimonianza dà. Anche perché così si può intuire qual è la testimonianza dei suoi, dei discepoli, qual è la testimonianza dei cristiani]: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» [tutte le parole che poi dirà è per dire che anche lui opera ciò che il Padre gli dona di operare; perché lui da sé non opera, il figlio da sé non può fare nulla. Lui quello che fa è ciò che il Padre gli dona di compiere].
Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse [e qui è il versetto, uno dei versetti che mi sono più cari di tutto il vangelo]: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla [il Figlio, Gesù, da sé non può fare nulla. Lui, Figlio Unigenito, da sé non può fare nulla. Nella sua umanità ha reso evidente il mistero eterno che il Figlio tutto riceve dal Padre. L’avere un cuore mite e umile, nel suo cuore umano, il cuore che gli ha donato sua madre Maria, nel suo cuore umano mite e umile ha fatto intravedere il mistero eterno del Figlio che riceve tutto dal Padre. Il Figlio da sé non può fare nulla ] se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa [quello che il Padre fa], anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati [ma questo che il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre, come è bello. Perché in questo, in questo!, lo possiamo imitare. Anche noi. «Voi senza di me non potete fare niente», così Gesù ai suoi nel giovedì santo: «voi senza di me non potete fare niente».
In questo non poter far niente se non quello che vediamo fare imitiamo perfettamente Gesù: «anche il Figlio da sé non può fare niente se non quello che vede fare dal Padre». Quando dice che solo i bambini entrano nel regno dei cieli in fondo parlava di se stesso. Il figlio di Dio come un bambino che fa quello che vede fare dal padre]. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole; il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso [ha dato] ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. … [Poi dice al versetto 30:] Io non posso far nulla da me stesso [ripete ancora!]; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. [E poi inizia il brano della testimonianza:] Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera [e così anche noi. Non siamo noi che diamo testimonianza. Non siamo noi.
La testimonianza è quello che il Signore opera in noi. E così la testimonianza che Gesù dà sono le opere che il Padre gli dona da compiere. Le opere che il Padre gli dona da compiere rendono testimonianza: che il Padre lo ama e che lui ama il Padre. E così noi. La testimonianza che possiamo dare è ciò che Gesù dona da compiere. La testimonianza che il cristiano dà è ciò che il Signore, che la grazia del Signore, opera nella sua vita; secondo una delle frasi più belle di Giussani detta qui a Roma, secondo me in una delle cose più belle che ha fatto Giussani, nell’aula magna del Laterano nel marzo ’79: “noi rendiamo presente Cristo attraverso il cambiamento che egli opera in noi. È il concetto di testimonianza”.
Così Gesù testimonia il Padre attraverso le opere che il Padre gli dona di compiere. È il concetto di testimonianza. Se è un’iniziativa nostra testimoniamo solo noi stessi. Testimoniamo solo noi stessi e il vuoto in cui viviamo, come intuiva Cesare Pavese: la peggiore delle insincerità. Il darsi da fare per gli altri normalmente è la peggiore delle insincerità]; ma c’è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo [come è bello questo: io non ricevo testimonianza da un uomo. Sarebbe solo l’evidenza di una mancanza. Di una mancanza!, non di una presenza]; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza più grande di quella di Giovanni: [qual è la sua testimonianza?] le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato [«le opere che il Padre mi dona – quelle opere che io faccio perché me le dona il Padre, perché io da me non posso fare niente –, quelle opere che mi dona il Padre testimoniano che il Padre mi ha mandato»].
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita [«voi non volete venire a me per avere la vita». E poi dopo aver detto che «io non posso fare nulla da me stesso», dopo aver detto che la testimonianza sono le opere che il Padre gli dona, qui usa l’altro termine che è il termine “gloria”; che è il termine che userà Gesù nell’ultima cena quando parla dell’unità. Perché l’unità nasce se la gloria viene da Lui. Invece la divisione nasce dal cercare la gloria degli uomini].
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste [come è vero!]. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c’è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?»”
E come è bello questo: «io non ricevo gloria dagli uomini … e come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo e non cercate la consistenza che viene da Dio solo».
Poi iniziamo il capitolo ottavo di Giovanni:
“Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo [perché se avesse detto – qui è bellissimo il commento di Agostino – di non lapidarla sarebbe andato contro la giustizia e lui era giusto. E se avesse detto di lapidarla sarebbe andato contro la misericordia e lui è misericordioso. Allora colui che è giusto e misericordioso deve dire quello che dirà].
Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo [/relicti sunt duo,/ – commenta Agostino – rimasero in due /misera et misericordia/ la donna (misera) – misero in latino vuol dire infelice – e la misericordia. Rimasero due: quella poveretta e la misericordia]. Alzatosi allora Gesù [in latino è più bello perché dice: /levans in eam oculos/ guardandola, alzando gli occhi verso di lei. Guardandola Gesù le disse] le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore».
E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» [quest’ultima frase non è innanzitutto un comandamento. È anche un comandamento ma è innanzitutto speranza nella sua grazia. Se non avesse detto «d’ora innanzi non peccare più» non avrebbe avuto speranza nella sua grazia. E non avrebbe avuto speranza in quella donna, non avrebbe avuto speranza che la sua grazia sarebbe stata più attraente per il cuore di quella donna. Quelle ultime parole sono innanzitutto la speranza di Gesù, la speranza di Gesù in quella donna: che l’esperienza della sua grazia, che il piacere della sua grazia, sarebbe stato più attraente, più potente per il cuore di quella donna. E poi va avanti…] … Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono [Io Sono è il nome indicibile del Dio di Israele quando si rivela a Mosè: Colui che È.
Allora saprete che Io sono, allora riconoscerete che io sono l’Unigenito Figlio di Dio] e non faccio nulla da me stesso [come è stupendo questo. Quando lo si riconosce come l’Unigenito Figlio di Dio si riconosce che lui non fa nulla da se stesso], ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.”
Poi terminiamo con un brano del giovedì santo
“«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla [come è bello: «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla».]. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato [«se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato»]»”.
Concludo leggendo questa strofa della poesia di Manzoni della Pentecoste, perché – per caso l’ho letta qualche giorno fa – è così stupenda nel descrivere che nessun passo della vita è possibile senza la grazia.
…
Discendi Amor [così allo Spirito]; negli animi
L’ire superbe attuta [attuta, attenua l’ira superba]:
Dona i pensier che il memore
Ultimo dì non muta [dona quei pensieri che l’ultimo giorno, il momento della morte ricorda con gioia, non muta];
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude [la tua virtù, la tua grazia, deve nutrire i doni tuoi. Non basta il dono; occorre anche che il dono sia nutrito da un altro dono. Non basta la grazia abituale occorre la grazia attuale. Occorre che la grazia sia alimentata e riviva da una nuova grazia. Per questo, dice Gesù, bisogna pregare sempre.];
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior [come il sole che schiude dal pigro germe il fiore]; Che lento poi sull’umili
Erbe morrà non còlto [che morrà non colto sull’umili erbe],
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto [e il fiore anche quando sboccia poi non sorgerà con i suoi colori],
Se fuso a lui nell’etere
Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor [senza il sole che continuamente risplende anche il fiore che germoglia muore. E così è la grazia. Se il Signore continuamente non la rinnova, se il suoi dono continuamente non rinnova – il dono che ci ha fatto, il dono nuovo – come il fiore che /Se fuso a lui nell’etere/Non tornerà quel mite/Lume, dator di vite/E infaticato altor/ non può rimanere e muore. Muore se il sole… anche le parole (sono belle n.d.r.): /quel mite/Lume,/ che dona la vita, quel /infaticato altor/, colui che sempre alimenta].
E poi l’ultima strofa, questa la rileggo:
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch’è suo, le ciglia;
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a Cui somiglia;
Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Ps. Leggete le lettere che vengono dai missionari o che vengono dai monasteri di clausura su 30giorni perché nel cammino della vita mentre il cuore si raccoglie sempre di più nelle poche cose essenziali, che poi si riconducono alla preghiera perché le poche cose essenziali della vita cristiana da parte nostra si riconducono alla preghiera: “quello che la legge di Dio comanda, la fede domanda”. La legge di Dio comanda di amare il Signore con tutto il cuore e di amare il prossimo come se stessi e la fede, come un bambino, domanda di amare Dio e di amare il prossimo. “Quello che la legge di Dio comanda, la fede domanda” perché «voi senza di me non potete fare niente», «il Figlio da sé non può fare nulla».
Se da un lato si riconduce a questo dall’altro lato invece man mano che il cammino della vita va avanti l’orizzonte si allarga sempre più. Quindi anche quelle lettere sono un aiuto all’orizzonte di tutta la chiesa; leggere una lettera di un piccolo monastero del Vietnam o della Corea o dell’India… molte sono semplicissime proprio di una semplice comunione di carità destata dalla grazia del Signore, altre insieme a questo hanno anche un valore – direi – politico, di intelligenza anche del momento che la Chiesa vive. Era per dire di fare l’abbonamento a 30giorni e di pensare per il Natale per quanto è possibile a un aiuto.