18 Agosto 2014

Il viaggio del Papa in Corea del Sud

Il viaggio del Papa in Corea del Sud
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Visita apostolica importante quella di papa Francesco in Corea del Sud, dove ha celebrato la solennità dell’Assunzione in cielo in anima e corpo della Beata Vergine Maria, ha celebrato la messa per la beatificazione dei santi martiri coreani (Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni), ha incontrato vescovi, membri di comunità religiose, leader di altre religioni, autorità e giovani (sesta giornata della gioventù asiatica) della Corea del Sud e di tutta l’Asia. Un viaggio il cui orizzonte non si è limitato al Paese visitato ma ha abbracciato l’intero Continente, a iniziare dalla Cina con la quale il Papa sta continuando in altro modo quel dialogo iniziato al tempo del Pontificato di Benedetto XVI. Un viaggio che Francesco ha voluto mettere sotto il manto protettivo della Madonna, dal momento che il suo cuore è stata la celebrazione dell’Assunzione in cielo di Maria in anima e corpo.

Nella rubrica Letture pubblichiamo un articolo in cui si accenna ad alcuni elementi significativi di tale visita. Qui di seguito riportiamo alcuni passaggi dei diversi discorsi che il Papa ha pronunciato nelle varie occasioni.

 

14 agosto incontro con i vescovi della Corea

 

La nostra memoria dei martiri e delle generazioni passate di cristiani deve essere realistica, non idealizzata e non “trionfalistica”. Guardare al passato senza ascoltare la chiamata di Dio alla conversione nel presente non ci aiuterà a proseguire il cammino; al contrario frenerà o addirittura arresterà il nostro progresso spirituale.

 

Cari fratelli, voi siete anche chiamati ad essere custodi della speranza: quella speranza offerta dal Vangelo della grazia e della misericordia di Dio in Gesù Cristo, quella speranza che ha ispirato i martiri. È questa speranza che siamo invitati a proclamare ad un mondo che, malgrado la sua prosperità materiale, cerca qualcosa di più, qualcosa di più grande, qualcosa di autentico e che dà pienezza.

 

C’è un pericolo, c’è una tentazione che viene nei momenti di prosperità: è il pericolo che la comunità cristiana si “socializzi”, cioè che perda quella dimensione mistica, che perda la capacità di celebrare il Mistero e si trasformi in una organizzazione spirituale, cristiana, con valori cristiani, ma senza lievito profetico. Lì si è persa la funzione che hanno i poveri nella Chiesa. Questa è una tentazione della quale le Chiese particolari, le comunità cristiane hanno sofferto tanto, nella storia. E questo fino al punto di trasformarsi in una comunità di classe media, nella quale i poveri arrivano a provare anche vergogna: hanno vergogna di entrare. E’ la tentazione del benessere spirituale, del benessere pastorale. Non è una Chiesa povera per i poveri, ma una Chiesa ricca per i ricchi, o una Chiesa di classe media per i benestanti. E questo non è cosa nuova: questo cominciò all’inizio. Paolo deve rimproverare i Corinzi, nella Prima Lettera, capitolo XI, versetto 17; e l’apostolo Giacomo più forte ancora, e più esplicito, nel suo capitolo II, versetti da 1 a 7: deve rimproverare queste comunità benestanti, queste Chiese benestanti per i benestanti. Non si cacciano via i poveri ma si vive in modo tale che loro non osino entrare, non si sentano a casa loro.

 

15 agosto omelia della santa messa dell’Assunzione in cielo della Beata vergine Maria in anima e corpo

Nel celebrare questa festa, ci uniamo a tutta la Chiesa sparsa nel mondo e guardiamo a Maria come Madre della nostra speranza. Il suo cantico di lode ci ricorda che Dio non dimentica mai le sue promesse di misericordia. Maria è beata perché «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». In lei tutte le promesse divine si sono dimostrate veritiere. Intronizzata nella gloria, ci mostra che la nostra speranza è reale; e fin d’ora tale speranza si protende «come un’ancora sicura e salda per la nostra vita» là dove Cristo è assiso nella gloria.

 

Questa speranza, cari fratelli e sorelle, la speranza offerta dal Vangelo, è l’antidoto contro lo spirito di disperazione che sembra crescere come un cancro in mezzo alla società che è esteriormente ricca, ma tuttavia spesso sperimenta interiore amarezza e vuoto.

 

Rivolgiamoci a Maria, Madre di Dio, e imploriamo la grazia di essere gioiosi nella libertà dei figli di Dio, di usare tale libertà in modo saggio per servire i nostri fratelli e sorelle, e di vivere e operare in modo da essere segni di speranza, quella speranza che troverà il suo compimento nel Regno eterno, là dove regnare è servire. Amen.

 

15 agosto incontro con i giovani dell’Asia

Ho sentito molto forte quello che Marina ha detto: il suo conflitto nella sua vita. Come fare? Se andare per la strada della vita consacrata, la vita religiosa, o studiare per diventare più preparata per aiutare gli altri. Questo è un conflitto apparente, perché quando il Signore chiama, chiama sempre per fare il bene agli altri, sia alla vita religiosa, alla vita consacrata, sia alla vita laicale, come padre e madre di famiglia. Ma lo scopo è lo stesso: adorare Dio e fare il bene agli altri. Che cosa deve fare Marina, e tanti di voi che si fanno la stessa domanda? Anch’io l’ho fatta al mio tempo: che strada devo scegliere? Ma tu non devi scegliere nessuna strada: la deve scegliere il Signore! Gesù l’ha scelta, tu devi sentire Lui e chiedere: Signore, che cosa devo fare? Questa è la preghiera che un giovane deve fare: «Signore, cosa vuoi tu da me?».

 

Poco fa abbiamo visto una cosa bella, quello sketch del figliol prodigo, quel figlio che se n’era andato, aveva sprecato i soldi, tutto, aveva tradito il padre, la famiglia, aveva tradito tutto. Ad un certo momento, per le necessità, ma con molta vergogna, ha deciso di tornare. E aveva pensato a come chiedere perdono al suo papà. E ha pensato: «Padre, ho peccato, ho fatto questo di male, ma io voglio essere un dipendente, non tuo figlio» e tante belle cose. Ma ci dice il Vangelo che il padre lo ha visto da lontano. E perché lo ha visto? Perché tutti i giorni saliva sul terrazzo per vedere se tornava il figlio. E lo ha abbracciato: non lo ha lasciato parlare; non lo ha lasciato dire quel discorso e neppure chiedere perdono, lo ha lasciato in seguito… e ha fatto festa. Ha fatto festa! E questa è la festa che piace a Dio: quando noi torniamo a casa, torniamo da Lui. «Ma Padre, io sono un peccatore, io sono una peccatrice…». Meglio ancora, ti aspetta! Farà ancora più festa! Perché lo stesso Gesù ci dice che in cielo si fa più festa per un peccatore che torna che per cento giusti che rimangono a casa […] Nessuno di noi sa cosa ci aspetta nella vita. E voi giovani: «Che cosa mi aspetta?». Noi possiamo fare cose brutte, bruttissime, ma per favore non disperare, c’è sempre il Padre che ci aspetta! Tornare, tornare! Questa è la parola. Come back! Tornare a casa, perché mi aspetta il Padre. E se io sono molto peccatore, farà una grande festa. E voi sacerdoti, per favore, abbracciate i peccatori e siate misericordiosi. E sentire questo è bello! A me fa felice questo, perché Dio mai si stanca di perdonare; mai si stanca di aspettarci.

 

16 agosto. Incontro con le comunità religiose

 

Mediante il consiglio evangelico della povertà sarete capaci di riconoscere la misericordia di Dio non soltanto quale sorgente di fortezza, ma anche come un tesoro. Sembra contraddittorio, ma essere poveri significa trovare un tesoro. Anche se siamo affaticati, possiamo offrirgli i nostri cuori appesantiti da peccati e debolezze; nei momenti in cui ci sentiamo più fragili, possiamo incontrare Cristo, che si fece povero affinché noi diventassimo ricchi. Questo nostro bisogno fondamentale di essere perdonati e guariti è in sé stesso una forma di povertà che non dovremmo mai dimenticare, nonostante tutti i progressi che faremo verso la virtù.

 

L’ipocrisia di quegli uomini e donne consacrati che professano il voto di povertà e tuttavia vivono da ricchi, ferisce le anime dei fedeli e danneggia la Chiesa. Pensate anche a quanto è pericolosa la tentazione di adottare una mentalità puramente funzionale e mondana, che induce a riporre la nostra speranza soltanto nei mezzi umani, distrugge la testimonianza della povertà che Nostro Signore Gesù Cristo ha vissuto e ci ha insegnato.

 

17 agosto. Omelia della santa messa conclusiva della giornata della gioventù

Nella vostra vita cristiana sarete molte volte tentati, come i discepoli nel Vangelo di oggi, di allontanare lo straniero, il bisognoso, il povero e chi ha il cuore spezzato. Sono queste persone in modo speciale che ripetono il grido della donna del Vangelo: «Signore, aiutami!». L’invocazione della donna cananea è il grido di ogni persona che è alla ricerca di amore, di accoglienza e di amicizia con Cristo. E’ il gemito di tante persone nelle nostre città anonime, la supplica di moltissimi vostri contemporanei, e la preghiera di tutti quei martiri che ancora oggi soffrono persecuzione e morte nel nome di Gesù: «Signore, aiutami!». E’ spesso un grido che sgorga dai nostri stessi cuori: «Signore, aiutami!». Diamo risposta a questa invocazione, non come quelli che allontanano le persone che chiedono, come se servire i bisognosi si contrapponesse allo stare più vicini al Signore. No! Dobbiamo essere come Cristo, che risponde ad ogni domanda d’aiuto con amore, misericordia e compassione.

 

Infine, la terza parte del tema di questa Giornata: «Alzati!». Questa parola parla di una responsabilità che il Signore vi affida. E’ il dovere di essere vigilanti per non lasciare che le pressioni, le tentazioni e i nostri peccati o quelli di altri intorpidiscano la nostra sensibilità per la bellezza della santità, per la gioia del Vangelo. Il Salmo responsoriale odierno ci invita continuamente ad «essere lieti e a cantare con gioia». Nessuno, se è addormentato, può cantare, danzare, rallegrarsi. Non è bene quando vedo giovani che dormono… No! «Alzati!». Vai, vai! Vai avanti! Cari giovani, «Dio, il nostro Dio, ci ha benedetti!»; da Lui abbiamo «ottenuto misericordia». Con la certezza dell’amore di Dio, andate per il mondo, così che «a motivo della misericordia da voi ricevuta», i vostri amici, i colleghi di lavoro, i connazionali e ogni persona di questo grande Continente «anch’essi ottengano misericordia». E’ proprio mediante questa misericordia che siamo salvati.

 

18 agosto. Omelia della santa messa per la pace  e la riconciliazione

Nel Vangelo di oggi, Pietro chiede al Signore: «Se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». Il Signore risponde: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette». Queste parole vanno al cuore del messaggio di riconciliazione e di pace indicato da Gesù. In obbedienza al suo comando, chiediamo quotidianamente al nostro Padre celeste di perdonare i nostri peccati, «come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Se non fossimo pronti a fare altrettanto, come potremmo onestamente pregare per la pace e la riconciliazione?

 

Gesù ci chiede di credere che il perdono è la porta che conduce alla riconciliazione. Nel comandare a noi di perdonare i nostri fratelli senza alcuna riserva, Egli ci chiede di fare qualcosa di totalmente radicale, ma ci dona anche la grazia per farlo. Quanto, da una prospettiva umana, sembra essere impossibile, impercorribile e perfino talvolta ripugnante, Gesù lo rende possibile e fruttuoso attraverso l’infinita potenza della sua croce. La croce di Cristo rivela il potere di Dio di colmare ogni divisione, di sanare ogni ferita e di ristabilire gli originali legami di amore fraterno.

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