Natale in Siria
Tempo di lettura: 3 minutiLe suore trappiste che sono in Siria, in occasione del Natale del Signore, hanno inviato una lettera ad Avvenire, di cui pubblichiamo ampi stralci: «Arriva Natale. Anche in Siria, ad Aleppo, a Homs. Nel nostro villaggio. Si può, quest’anno, con questa guerra fratricida, dirci buon Natale? Sì, più che mai. Non solo si può, ma è urgente. Prima di tutto perché ciò di cui facciamo memoria è la venuta di Dio fra gli uomini. Aldilà di ogni nostra vicenda umana, per quanto tragica sia, questa è la cosa inaudita: Dio è l’Imanu-El, il Dio con noi.
Questo ci riguarda da vicino, ora.
Non celebriamo il Natale come una favola o un buon proposito, per dirci quanto sarebbe bello volersi tutti bene. Non lo celebriamo per dimenticare i nostri morti, per avere almeno per qualche ora il cuore leggero. Celebriamo il Natale perché guardando quel Bambino in un presepe non dimentichiamo che proprio Lui è l’Uomo risorto che è disceso in tutti i nostri inferni. Per liberare tutti i morti senza luce. Per redimerli, e quanto bisogno di redenzione abbiamo, tutti! Chi uccide e chi è stato ucciso, chi odia, chi soffre, chi dispera, chi sfrutta, chi non riesce a perdonare, chi fa il furbo, chi vive solo in superficie (…). È Natale, in Siria, e non riguarda solo i cristiani. Perché anche i nostri fratelli musulmani ricordano il Natale di Gesù. È nel loro Libro sacro, e se anche non lo riconoscono come Dio, lo venerano come profeta. E proclamano la verginità di sua Madre. Siamo strani, noi figli di Abramo. Così vicini, così separati.
Si è posata una stella, è discesa.
Mentre costruiamo stazioni spaziali, inviamo sonde a esplorare l’universo, lanciamo in orbita la nostra vita su twitter, sfuggiamo sempre di più questo orizzonte basso in cui paure, guerre civili, inflazioni, corruzione, intolleranza, catastrofi naturali sembrano soffocarci, Qualcuno ci viene incontro. Egli che fin dall’inizio della creazione si libra più alto di ogni nostra possibile speranza, è sceso e di nuovo discende in mezzo a noi. Possiamo invocare una No Fly Zone, una qualche barriera per difenderci. Ma non è necessario: Egli è inerme. Non ci disturberà, se non lo vogliamo.
Ma sarebbe bello se quest’anno ci procurassimo un Bambinello.
Anche piccolo, anche di plastica, non importa. Ma bello, perché Dio è bellezza. E poi, nel segreto della nostra stanza, lontano dalla vergogna del mondo, che ci vuole forti e sicuri di noi stessi, nel silenzio, nel mezzo della notte, appoggiassimo la fronte ai suoi piedi. Forse ne avremmo un tepore, una pace, che da tempo non conosciamo. Se questa follia che la fede cristiana proclama, un Dio fatto carne, provassimo una volta a guardarla da vicino, a considerarla senza pregiudizi o idee scontate… (…).
Cantano gli angeli. Cantano, e forse anche piangono. Perché lo sanno bene, loro: il mondo non si divide mai in buoni e cattivi. E se noi non possiamo proprio fare a meno di schierarci, almeno dobbiamo sapere che da qualunque parte guardiamo, piangendo i nostri morti, dall’altra parte ci sono altrettanti morti e pianti. Dobbiamo essere coscienti che da tutti i lati dell’umano ci sono speranze, ragioni, odi, sofferenza, coraggio, ingiustizie, e infine amore.
Magari amore “sbagliato”: ma se c’è un uomo non può esserci altro se non questo impasto di grandezza e meschinità di cui tutti siamo fatti.
Gli Angeli però, dall’alto, ci vedono anche belli, fatti a immagine del Dio Altissimo, fatti per l’Amore “giusto”.
Cantano, dunque, aldilà di ogni lacrima, la loro speranza: «Gloria nei cieli, e pace sulla terra agli uomini che Egli ama».