Papa Francesco: il Signore ci guarda e ci precede
Tempo di lettura: 3 minuti«Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione”. E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede». Queste le parole che papa Francesco ha rivolto ai catechisti nell’incontro del 28 settembre. «Noi – ha proseguito il Pontefice – aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Le parole vengono… ma prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore […] viene da Cristo! È un regalo di Cristo! È un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo».
Essere catechisti, ha spiegato, «è uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui […]. Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! È un po’ noioso, mi addormento… Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista: è parte dell’essere catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. In una delle uscite che ho fatto, qui a Roma, in una Messa, si è avvicinato un signore, relativamente giovane, e mi ha detto: “Padre, piacere di conoscerla, ma io non credo in niente! Non ho il dono della fede!”. Capiva che era un dono. “Non ho il dono della fede! Che cosa mi dice lei?”. “Non ti scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciati guardare da Lui! Niente di più”. E questo lo dico a voi: lasciatevi guardare dal Signore!».
«Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo – ha osservato -, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente […]. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata! Una Chiesa, un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio per uscire, e non un catechista che studi, sappia tutto, ma chiuso sempre: questo è ammalato. E alle volte è ammalato dalla testa».
«Gesù non dice: andate, arrangiatevi – ha aggiunto – No, non dice quello! Gesù dice: “Andate, io sono con voi!” Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui cammina con noi, ci precede […]. Questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là».
Infine, una confidenza personale: «Ma voi sapete, una delle periferie che mi fa così tanto male che sento dolore – lo avevo visto nella diocesi che avevo prima? È quella dei bambini che non sanno farsi il segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il segno della Croce. Questa è una periferia! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta, per aiutare quel bambino a farsi il segno della Croce. Lui sempre ci precede».