23 Novembre 2015

Don Giacomo e la tempesta

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Venti di tempesta attraversano il mondo. Un richiamo, quello alla tempesta, che è stato fatto proprio dall’Isis nel rivendicare il suo rinnovato, sanguinario, attivismo. Come tempesta minacciano i suoi veri o presunti antagonisti, che hanno dissotterrato un’altra volta l’ascia di guerra e minacciano nuove follie belliciste che rischiamo di sprofondare ancora di più il mondo nel caos.

Tempesta, quindi, una parola che mi ha portato alla memoria quando di tempesta parlava don Giacomo Tantardini.

Allora ne parlava per quanto veniva scatenato contro la Chiesa, qualcosa di meno evidente e diffuso di oggi (occulto). Oggi le ondate sono ben più visibili, alte. Investono il mondo, agghiacciando i cuori e confondendo le menti.

Non che la Chiesa non ne sia investita, basta guardare quanto avviene ai cristiani di Siria e Nigeria, il cui martirio è tutt’uno con quello di un popolo che cristiano non è (e quanto è importante ricordare anche questo, altrimenti si fa solo il gioco di quanti li uccidono). O basta vedere gli scandali e la confusione che attanagliano la Chiesa.

E però oggi le ondate appaiono più tumultuose, devastanti. Oggi che le forze del caos sembrano più scatenate che mai. Dilagano, dopo aver fatto breccia in quegli argini che pure in parte le avevano tenute un po’ a freno. Una tempesta che sembra inarrestabile, così almeno vorrebbero farci credere le forze che l’hanno scatenata, perché proprio su questa assenza del limite, sulla loro asserita onnipotenza, hanno la loro intima, occulta, forza.

Inermi, possiamo solo osservare il dipanarsi degli eventi, cercando di intuire forze o punti di contrasto, momenti e luoghi di calma.

Così mentre la tempesta morde le carni del mondo, a conforto e preghiera, piace pubblicare cenni di due catechesi di don Giacomo. Nella speranza sia un piccolo ausilio per il cuore e la mente.

 

… La tempesta in cui si vive non si può censurare […] Nella tempesta si può essere quieti, per usare una delle espressioni più belle di don Giussani di questa estate in un articolo sul Corriere della Sera: quieti dentro la tempesta. Ma quieti non vuol dire che uno non si accorge della tempesta, si è quieti per un’altra cosa. Il bambino si addormenta nella tempesta: l’immagine di Caravaggio  [vedi fotografia ndr.] che avete su questo libretto è la Fuga in Egitto, e ritrae Gesù che dorme in braccio a sua madre. Più tempesta di quel momento per Maria, Giuseppe e Gesù!

Solo i giorni della Passione sono stati così tempestosi. Eppure Gesù dormiva. E anche la Madonna e San Giuseppe erano quieti, ma loro si accorgevano della tempesta, si accorgevano di coloro che volevano uccidere quell’unico tesoro che avevano nella vita, quell’unico tesoro che il mondo, senza saperlo, aveva. Ma allora mi sono pacificato pensando che quello che interessa alle persone, a me e a voi, a me che parlo e alle persone che ascoltano, non sono né i fatti ecclesiastici né altre cose, ma quello che interessa al cuore dell’uomo è ciò che fa il Signore

Altra catechesi di don Giacomo, commento a una meditazione di papa Benedetto XVI.

“Ringraziamo perché Dio, come bambino, si dà nelle nostre mani, mendica, per così dire, il nostro amore, infonde la sua pace nel nostro cuore. Questa gioia, tuttavia, è anche una preghiera: Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue [e per due, tre volte il papa, citando Isaia, parla dei mantelli intrisi di sangue]. Realizza la promessa” (papa Benedetto XVI omelia della messa del 24 dicembre 2010).

Quello che volevo dire era semplicemente che una fede che non si accorge dei mantelli intrisi di sangue non conforta. Non conforta! Una fede che non si accorge dell’anticristo non conforta, una fede che non si accorge degli anticristi che ci sono, di coloro che negano Gesù Cristo non conforta, non può confortare. Poi uno è come un bambino quieto nella tempesta, si addormenta quieto ma si accorge che c’è la tempesta.

Se non si accorge che c’è la tempesta non conforta chi è nella tempesta. […]. E poi finisce: “Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza”. Non conforta se uno dice solo “Ti ringraziamo” e non aggiunge “mostra la tua potenza”. Non è il bambino che si addormenta quieto nella tempesta se non aggiunge “mostra la tua potenza”.

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