Impressioni da una trottola
Leggendo le più belle poesie del primo tempo della vita di Clemente Rebora, il tormento della trottola, lo spasimo di essere pronti nell’attesa senza oggetto, mi viene in mente una frase di don Giussani, sentita chissà quando in un incontro di montagna, ma rimasta impressa nel cuore dei ricordi. Diceva (molto meglio) qualcosa di questo tipo: Clemente Rebora, divenuto padre Rebora, accogliendo la semplicità del cristianesimo, non ha più avuto bisogno di esprimersi in poesia. Gli bastava la grande compagnia del silenzio e il canto della gratitudine. Quell’attesa si era compiuta in modo inaspettato, vertiginoso.
Rebora, è noto, scrisse ancora, dopo anni dalla “conversione”, specie durante la malattia. Ma l’osservazione di Giussani è straordinariamente vera. Il tormento espressionista, il dolore del male (si pensi alle liriche di guerra), si scioglie in canto, in ringraziamento.
Riportiamo la poesia di Rebora Gira la trottola viva:
Gira la tròttola viva
Sotto la sferza, mercé la sferza;
Lasciata a sé giace priva,
Stretta alla terra, odiando la terra;
Fin che giace guarda il suolo;
Ogni cosa è ferma,
E invidia il moto, insidia l’ignoto;
Ma se poggia, a un punto solo
Mentre va s’impernia,
E scorge intorno, vede d’intorno;
Il cerchio massimo è in alto
Se erige il capo, se regge il corpo;
Nell’aria tersa è in risalto
Se leva il corpo, se eleva il capo;
Gira, – e il mondo variopinto
Fonde in sua bianchezza
Tutti i contorni, tutti i colori;
Gira, – e il mondo disunito
Fascia in sua purezza
Con tutti i cuori, per tutti i giorni;
Vive la tròttola e gira,
La sferza Iddio, la sferza è il tempo:
Così la trottola aspira
Dentro l’amore, verso l’eterno.