«Gesù, la calamita meravigliosa che attira il mondo»
È un articolo scritto tempo fa quello che pubblichiamo oggi, in altra e diversa occasione, ma ancora inedito. E lo pubblichiamo nel giorno della festa della Visitazione della Madonna che si celebra oggi perché la protagonista di questo scritto è la serva di Dio Maria Margherita Bogner, dell’Ordine della Visitazione di santa Maria. E perché ella si diceva figlia spirituale di santa Margherita Maria Alacoque, della quale presto ospiteremo una breve biografia nella rubrica Come in cielo, anche in onore del Sacro cuore di Gesù (al quale la Chiesa dedica il mese di giugno), devozione che ha una larga diffusione grazie alle rivelazioni ricevute proprio da santa Margherita Maria Alacoque. Così questo piccolo scritto ci pare una sorta di ponte tra la festa della Visitazione di Maria e la devozione al Sacro Cuore.
Ma al di là delle spiegazioni, pure opportune, piace offrirlo ai lettori, nella speranza che sia gradito, come spunto di conforto e di preghiera.
Sono belle le tombe dei santi. Belle come le promesse di vittoria sulla morte e di felicità che esse gridano silenziosamente. Belle come il sorriso di chi, recandovisi per pregare, o magari soltanto per lasciare un fiore, sente in quei luoghi la dolce presenza di un amico in Paradiso e trova così conforto e speranza tra gli affanni della vita.
Ben doveva saperlo il padre spirituale di suor Maria Margherita Bogner, il gesuita Elemér Csávossy, quando descrisse, con parole dense di commozione, la tomba di questa piccola visitandina ungherese morta nel 1933, a soli ventisette anni, e per la quale, attualmente, è in corso la causa di beatificazione: «Sulle rive del Danubio […] si scorge, lungo la via che conduce al monastero della Visitazione Santa Maria, una modesta tomba sempre coperta di fiori, simbolo della perenne primavera verso la quale è partita colei i cui resti mortali là riposano. Questa tomba è come una sentinella vittoriosa posta a salvaguardare la sottostante ricca pianura […]. L’anima aleggia forse su quella contrada, enumerando le anime di cui fu madre spirituale con le sue preghiere, i suoi sacrifici, la sua carità, le sue sofferenze e soprattutto la sua unione con Gesù».
Suor Maria Margherita, al secolo Etelka Bogner, nasce il 15 dicembre 1905 a Melence, un piccolo comune ungherese nella contea di Torontál: è la terzogenita di sette figli. Un’infanzia, la sua, nella quale Gesù irrompe prestissimo, «segnandola per sempre col misterioso sigillo della croce»: tra il 1912 e il 1914 le muoiono due fratellini, Mihály e Sarolta, e nel 1915 il papà János. Il 1915 è anche l’anno in cui alla piccola Etus (così la chiamano in famiglia) viene diagnosticata un’osteite all’anca, malattia che la costringerà per lunghi mesi a letto e che la renderà claudicante a vita. Eppure, nonostante i lutti, la malattia e le gravi difficoltà finanziarie in cui versano i Bogner, Etus è una bambina allegra e vivacissima, il «raggio di sole» della casa: saltella dappertutto con l’apparecchio ortopedico, prende a cuscinate chi viene a trovarla e, per tranquillizzare la madre apprensiva, canta continuamente, dissimulando così i forti dolori alla gamba; a scuola combina mille marachelle che riesce sempre a farsi perdonare portando fiori a maestre e suore.
Ma per Etus questi sono anche gli anni dell’incontro con il Signore: durante la preparazione alla Prima Comunione, al racconto della Passione la piccola si commuove, spesso sino alle lacrime, perché la croce «è un cuscino troppo duro per Gesù». Di questo periodo è pure un suo breve componimento scolastico, intitolato La modestia, che vale la pena citare perché, in qualche modo, dice tutto su quale sarà la strada, o meglio, «la piccola via» che la futura visitandina percorrerà, con la lievità dei prediletti dal Signore: «Un ruscello sbocca nel mare. Mio Dio, dice il poveretto, quanto valgono le poche gocce della mia acqua nella tua immensità incommensurabile? Non temere, figlio mio, dice il mare, anche loro aiutano a portare il peso delle navi».
In effetti quella di Etus è una storia comunissima: gli studi e successivamente un lavoro come stenografa presso una società di Nagybecskerek; la Messa alla domenica e la preghiera, l’entrata nella Congregazione Mariana e nell’Apostolato della preghiera. Poi la vocazione, germogliata «davanti al tabernacolo», che nel 1925 la porterà a bussare alle porte del Carmelo, lo stesso ordine dell’amatissima santa Teresina, canonizzata proprio il 17 maggio di quell’anno. L’incontro con la santa di Lisieux si rivela decisivo per l’aspirante claustrale: «Dopo aver letto la sua autobiografia, ho messo le mie mani nelle sue perché mi guidi, e ormai la mia via è sicura […] Mi insegna ad essere piccola, piccolissima, affinché nessuno mi scorga, […] e così il fiore del campo appartenga interamente a Gesù». Un «fiore di campo» che però non crescerà nel Carmelo: con uno sviluppo fisico compromesso dall’osteite, Etus non viene ammessa come carmelitana.
Ad aprirsi per lei, nel luglio del 1927, saranno però le porte della Visitazione, quell’Ordine di clausura che nel 1610 san Francesco di Sales aveva fondato assieme alla prima delle sue figlie spirituali, santa Giovanna Francesca di Chantal, e aperto anche alle donne di età avanzata, alle vedove, alle deboli e inferme: «la nostra congregazione – scriveva il santo fondatore alla Madre di Chantal – deve tenersi fra gli altri istituti come le violette tra gli altri fiori: umile e piccola, di colore meno appariscente. Le basti sapere che Dio l’ha creata per spargere un po’ di buon odore in seno alla Chiesa stessa». Un «buon odore» che poi è il riverbero di quei «profumi» di cui si legge nel Cantico dei Cantici e sui quali Etus si ritrova a scrivere nel suo diario subito dopo aver appreso la notizia dell’ammissione al monastero visitandino di Thurnfeld in Austria: «Attiratemi a voi… noi corriamo dietro i vostri profumi! Quale forza insinuante hanno queste parole! L’anima assetata del vostro amore le ripete spontaneamente, e io lo faccio cento volte al giorno. Voi siete, o Gesù, la calamita meravigliosa che attira il mondo tutto […] O Gesù, l’anima sulla quale spargete i vostri profumi celestiali ne è inebriata, essa corre e attira altre anime, non avendo altro ideale che voi». Parole piene di gioia dalle quali traspare anche l’aspetto missionario della sua vocazione: Etus, che sin da giovinetta pregava e faceva pregare i bambini per i popoli dell’Africa e soprattutto della Cina perché potesse arrivare sin lì l’annuncio del Vangelo, il giorno della sua ammissione al noviziato (30 agosto 1927) annota sul suo diario: «O Gesù […] fatemi la grazia di vivere quella vita che voi desiderate da me. Accettate il mio umile olocausto d’amore per i sacerdoti della santa Chiesa e per le missioni. Amen»; e più tardi, emessi i voti temporanei e preso il nome di Maria Margherita (in onore di un’altra visitandina, santa Margherita Maria Alacocque), la giovane religiosa dirà alle sue consorelle: «Le colonie missionarie di una Visitandina non hanno frontiere; oggi battezzo in Cina, domani in America e semino ovunque il seme della fede; ma aiuto anche le missioni d’Europa; oggi qui, domani là. Dove passa una Visitandina i cuori si accendono come le lampade nella notte. Essa deve correre per il mondo cercando anime con i suoi piccoli sacrifici per condurle a Gesù […] La nostra vocazione è la redenzione delle anime». E infatti, spesso affaticata nei lavori quotidiani a causa della cattiva salute, la suora offre i suoi piccoli fioretti dicendo: «Che fanno oggi i cinesini? Oggi è il loro turno».
La permanenza di suor Maria Margherita al monastero austriaco di Thurnfeld dura circa un anno: il 2 agosto 1928 si reca con la madre superiora ed altre cinque consorelle a Érd per fondarvi il primo monastero della Visitazione ungherese. Nel nuovo convento la giovane religiosa vivrà i suoi ultimi anni di vita, con l’allegria e l’amorevolezza verso il prossimo proprie delle visitandine. Il 16 maggio 1932, un anno prima di morire a causa di una violentissima forma di tubercolosi, suor Maria Margherita prende i voti perpetui, divenendo così la prima professa ungherese della storia dell’Ordine.
L’anima di quella piccola suora, che aveva vissuto tutta la vita nascosta «tra le braccia di Gesù», sale in cielo il 13 maggio 1933: poco prima di morire aveva promesso di non dimenticare nessuno. Scriverà di quel giorno padre Csávossy: «I raggi del sole morente, che raramente penetravano nella sua cella, la indorarono quella sera […] Era un sabato di Maggio, il giorno nel quale la Vergine apparve per la prima volta, nel 1917, a Fatima […] La divina Madre la ricevette certamente in cielo. Era pure il 13° anniversario della canonizzazione della sua santa sorella protettrice Margherita Maria Alacoque che le sarà venuta incontro per riceverla e inabissarla nel Sacro Cuore di Gesù».