Quel cammino di grazia che porta a Santiago
Nadie fue ayer,
ni va hoy,
ni irá mañana
hacia Dios
por este mismo camino
que yo voy.
Para cada hombre guarda
un rayo nuevo de luz, el sol…
y un camino virgen,
Dios.
Così canta León Felipe, uno dei grandi poeti spagnoli del Novecento: «Nessun uomo andò ieri, né va oggi, né andrà domani verso Dio per lo stesso cammino
che percorro io. Perché ogni uomo riceve un raggio nuovo di luce, il sole… e un cammino vergine, Dio».
A Carrión de los Condes lo sanno bene. Un paesino di 2500 anime, posto al centro della meseta castigliana, a metà strada tra le grandi cattedrali di Burgos e León. Un altipiano in cui, al tempo dei romani, sorgevano boschi millenari, poi tagliati completamente dai conquistatori per farne legno per la flotta e i palazzi dell’Urbe. Oggi un sole impalcabile lo batte di giorno, durante l’estate, e un enorme silenzio avvolge i campi di grano che si perdono all’orizzonte. Dovunque, torri e campanili in stile mudejar, assediati dai nidi delle cicogne.
Questo paese segna il punto centrale del cammino “francese” verso Santiago de Compostela, che supera i Pirenei a Saint Jean
Pied de Port, non lontano da Lourdes, ed entra in Navarra, passando per la collegiata di Roncisvalle e le calles di Pamplona, dove ogni luglio, in occasione della festa di San Fermin, si celebra el e
ncierro, la corsa
dei tori per le strett
e vie della città, in mezzo a una folla di giovani che li accostano e cercano di scansarli all’ultimo momento. Una sfida antica contro la morte e i suoi fantasmi, contro i mostri che assediano le fantasie degli uomini. Il Cammino prosegue poi lungo le colline della Rioja, ricche di vigne. È questo primo tratto, si dice, quello in cui il pellegrino ripercorre la vita passata, legato ancora ai ricordi, alle abitudini e agli schemi mentali che l’hanno sempre accompagnato.
Il portale della cattedrale di Burgos ne segna la fine. Le sue vetrate riposano il cuore e lo aprono al tratto centrale del Cammino, il più duro, se si vuole, quello in cui la natura si ritrae, si riduce all’essenziale, aprendo un paesaggio aspro, senza le seduzioni del verde e dei boschi, con pochi colori base, netti e privi d’ombre: un orizzonte aperto. Un luogo in cui sembra esserci più cielo che terra, un cielo amato dalle cicogne, ma in cui è facile ammirare, di tanto in tanto, falchi e poiane, e non è raro avvistare le aquile.
È il tratto in cui il pellegrino si confronta con il proprio presente. L’unico tempo che davvero esiste e ha consistenza, direbbe sant’Agostino. La fragilità dell’oggi, la sua pienezza. La quotidiana domanda che ciascuno porta nelle scarpe e nello zaino.
Il Cammino di Santiago non è diverso in questo dal mondo in cui ci accade di vivere. In questi ultimi anni il percorso è sempre più battuto: alla tomba dell’apostolo – Messieur Jacques nous attende, recita un’antica canzone francese – arrivano quasi 200mila persone l’anno. C’è chi lo fa per moda, o per sport, chi per conoscere gente di tutto il mondo – i coreani, negli ultimi anni, si sono moltiplicati sul Cammino – chi per una vaga ricerca di senso, chi perché ha bisogno di una risposta particolare sulla sua vita, o ha semplicemente perso il lavoro e ha molto tempo per una vacanza lunga e poco costosa. C’è anche chi va per chiedere una grazia, o ha atteso a lungo di compiere questo viaggio, e s’accorge che la borsa della vita comincia a stringere i cordoni.
A Carrión de los Condes lo sanno bene. L’albergue Santa María, proprio accanto alla parrocchia, una bellissima chiesa romanica dell’XI secolo, dedicata alla Virgen del Camino, è ormai noto a molti di quelli che tornano. Il suo quaderno degli ospiti è colmo di espressioni di gioia inaspettata, di lacrime che qui a volte vengono asciugate, di una sorpresa antica e sempre nuova.
Da qualche anno a questa parte, ad accogliere il pellegrino c’è una comunità di monache agostiniane, che hanno la loro “base” a Sotillo de la Adrada, vicino Avila. Un’esperienza che unisce la vita contemplativa all’accoglienza di coloro che passano per il monastero.
Le ha fondate 10 anni fa Madre Prado, con la benedizione e la filiazione della Badessa di Lecceto, uno dei più antichi monasteri agostiniani, vicino Siena. All’inizio erano in quattro: ora sono 26, ed ogni anno ricevono la grazia di nuove vocazioni, alcune giovanissime. Ragazze di Madrid, la maggior parte, figlie della nuova Spagna laica e laicista, che qui hanno incontrato un luogo di grazia. Offrono un po’ di tè, accompagnano i pellegrini alla loro branda, propongono un incontro in cui si canta e si condividono esperienze. Invitano tutti, credenti e non credenti, alla messa quotidiana delle 20, che si conclude con la benedizione del pellegrino. Donano a tutti una piccola stella di carta colorata da portare a Santiago. E preparano una cena per i pellegrini, con quel poco che la carità degli altri gli dona.
Qualcuno ha scritto sul quaderno dell’albergue che vorrebbe sapere qual è il segreto del loro sorriso. E probabilmente non sa che tanti tornano, scrivono alla loro posta elettronica, chiedono grazie, preghiere. Qualche ragazza torna per fare esperienza con loro, dopo essere stata ospite sul Cammino, e trova qui la sua vocazione.
Tutto per una notte passata in un luogo particolare, dove è evidente che brilla qualcosa d’altro, oltre alla domanda di ognuno. Che la risposta in qualche modo è anticipata in quel sorriso.
Da lì si riparte, verso León, e poi si entra in Galizia, dove il Cammino è più aspro, si sale la montagna del Cebreiro, celebre per un miracolo eucaristico molto particolare. In una notte di neve e di cattivo tempo, un contadino era salito con grande fatica alla chiesa che è sulla cima del monte, per non perdere la messa domenicale. Il sacerdote, che si apprestava a consacrare da solo, aveva riso di quella fede che giudicava fin troppo zelante. Il resto lo aveva fatto il Signore. Così, il Cebreiro, segna l’inizio di quella terza parte del Cammino in cui, si dice, a volte è donata la grazia di ricevere una vita nuova. A volte ancora prima di passare per il portico della Gloria della Cattedrale e inginocchiarsi alla tomba di Giacomo, boanerghes, fratello e amico di Gesù.
di Giovanni Ricciardi