11 Settembre 2020

11 settembre 2001: un passato ancora attuale

11 settembre 2001: un passato ancora attuale
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Le guerre al Terrore del post 11 settembre hanno prodotto almeno  37 milioni di sfollati dai Paesi in cui gli Usa sono intervenuti in maniera diretta o indiretta in questi anni di guerre al Terrore, che hanno interessato “Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Somalia, Filippine, Libia e Siria”.

Una cifra stimata al ribasso, mancano infatti i dati sugli interventi meno massicci dispiegati in altri Paesi, che accrescerebbero tale cifra fino ad arrivare a un totale che oscilla tra i 48 e i 59 milioni di sfollati.

Queste le stime riferite dal Costs of War project della Brown University e riportate sul New York Times in occasione dell’11 settembre.

“Questo è uno dei principali danni, insieme ovviamente ai morti e ai feriti, causati da tali guerre”, afferma David Vine, professore di antropologia presso l’Università americana e principale autore della ricerca. “Tutto ciò ci dice che l’intervento degli Stati Uniti in questi Paesi è stato orribilmente catastrofico, orribilmente dannoso in modi che non penso che la maggior parte delle persone negli Stati Uniti abbia ancora affrontato o fatto i conti anche nei minimi termini…”.

“Sebbene gli Stati Uniti non siano l’unica causa della migrazione da questi Paesi – continua la sintesi del NYT – gli autori affermano che essi hanno svolto un ruolo dominante in tali conflitti o vi hanno comunque contribuito”, amplificandone la portata, si potrebbe aggiungere, e soprattutto la durata, dato che il destino permanente degli interventi militari americani era inscritto nel nome da essi scelto per definire la loro guerra al Terrore, cioè “guerra infinita”.

Nel report, il documento si concentra sul tragico destino degli sfollati, molti dei quali finiti in campi profughi, dato che questo è il tema della ricerca, ma è necessario anche mettere in luce il destino di quanti sono rimasti nei loro Paesi, per lo più le fasce più povere, che scontano in altro modo, non meno tragico, la follia di questi anni.

Le guerre al Terrore iniziate 19 anni fa vanno chiuse, questa la priorità del mondo. E perché ciò accada, occorre ridimensionare il potere dei circoli che le hanno alimentate dopo aver preso il potere globale nel post 11 settembre.

Circoli invisibili della Tecno-Finanza, e altri e più oscuri, i cui terminali sono però visibilissimi, dai neocon ai liberal Usa, alle élite cosiddette europeiste, ai media e giornalisti ad essi consegnati.

È esercizio arduo, ma la necessità di chiudere tale nefasta finestra non è data solo dalla priorità di risolvere conflitti in corso, ma anche da quella di evitarne di futuri, prospettiva che apre le porte a un conflitto tra potenze globali.

Tale la priorità, anche in questo momento in cui più rischiosa appare la pandemia (e le sue conseguenze economico-sociali), la cui criticità sta scorrendo in parallelo con quella innescata dalle guerre infinite e con essa si è interconnessa in maniera inscindibile.

Ciò perché la crisi pandemica è stata per lo più gestita dagli stessi ambiti abitati dalla follia che hanno gestito le guerre infinite.

D’altronde era inevitabile, dato il potere che tali ambiti hanno progressivamente  acquisito in questi anni, non solo a livello finanziario, politico e militare, ma anche mediatico, avendo sequestrato la narrazione del mondo con riguardo alle tematiche sensibili.

D’altronde la pandemia, dichiarata tale l’11 marzo scorso, ha rappresentato per tali ambiti una nuova opportunità, come opportunità fu l’11 settembre 2001.

Potrebbe apparire illusorio sperare in un arretramento di tali prospettive consegnate al caos, ma se ancora non hanno trionfato, benché abbiano vinto tante volte, è perché nel mondo esistono ancora tante e variegate forze frenanti nelle quali si può ancora sperare.

“La speranza contro la paura” è stato un topos che ha accompagnato questi anni di conflitti, caos e (rare) oasi di pace. Resta ancora attuale.

 

 

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