22 Maggio 2019

Acqua in bottiglia: la paradossalità dei bisogni indotti

di Matteo Guenci
Acqua in bottiglia: la paradossalità dei bisogni indotti
Tempo di lettura: 3 minuti

La crescita delle vendite dell’acqua in bottiglia è di circa il 10% annuo, per un guadagno che si stima supererà i 280 miliardi di dollari entro il 2020. Un articolo di Maxim Rubchenko, pubblicato l’11 maggio su Ria novosti, dettaglia le controversie legate a questo business, tanto paradossale quanto redditizio.

La nascita del business dell’acqua in bottiglia risale al 1760 quando un’azienda, la Jackson’s spa, ha inaugurato la vendita di acqua minerale in bottiglia a scopo terapeutico. Questo mercato è prosperato fino al ‘900, fin quando tutti i paesi sviluppati ebbero la loro acqua di rubinetto.

La nomea della terapeuticità dell’acqua in bottiglia, e quindi la sua superiorità rispetto alla banale acqua di rubinetto, però, ha conservato la spinta propulsiva del business. Nel 1898 Louis Perrier, medico francese, ha cominciato a distribuire acqua proveniente da una sorgente nei pressi di Verezh ai migliori ristoranti e hotel europei.

Nel 1946 la piccola compagnia è passata in mano a Gustav Leuven e negli anni ’70 il marchio Perrier era in testa alle vendite in Europa e pronto a espandersi sul mercato americano. Espansione riuscita perfettamente, grazie alla fama di marchio d’élite, passando dai 2.5 milioni di bottiglie vendute all’anno nel 1975 ai 75 milioni del 1978.

Fama creata e inconsistenza reale

Da allora l’acqua in bottiglia è associata a uno stile di vita sano e oggi, secondo la Beverage marketing corporation, sono venduti oltre 460 miliardi di litri d’acqua in bottiglia all’anno. Numeri assurdi se si considera che l’acqua imbottigliata è in media 2000 volte più costosa di quella del rubinetto.

Secondo l’opinione comune l’acqua in bottiglia sarebbe in qualche modo più pulita, ecologica e vantaggiosa dell’acqua corrente, idee introdotte insistentemente da molti spot pubblicitari.

L’infondatezza di tali concetti diventa lampante se si pensa che ricercatori dell’American environmental working group affermano che la metà dei produttori di acqua in bottiglia ammettono che questa è la stessa acqua del rubinetto, solo “ulteriormente purificata”.

“È sbagliato credere che l’acqua in bottiglia sia più pulita, più sana o più sicura dell’acqua del rubinetto”, ha dichiarato, infatti, Peter Gleick, presidente del Pacific Institute, al sito BusinessInsider.

Acqua in bottiglia: la paradossalità dei bisogni indottiA contribuire alla paradossalità dello stereotipo secondo cui l’acqua in bottiglia è più salutare altro non è che la bottiglia stessa. La maggior parte dell’acqua imbottigliata è venduta in contenitori di plastica. Questi contaminano l’acqua con le loro microparticelle e, se riscaldati troppo, rilasciano tossine.

Anche dal punto di vista ecologico l’impatto di questo mercato è un’assurdità, se si considera che, come esposto fin qui, l’acqua in bottiglia non offre alcun beneficio concreto rispetto a quella del rubinetto.

Solo negli Stati uniti, infatti, nel 2016 la produzione di bottiglie ha richiesto 2 milioni di tonnellate di plastica, per la cui produzione sono stati utilizzati 64 milioni di barili di petrolio.

La convinzione assoluta, quindi, che l’acqua imbottigliata superi in tutto e per tutto l’acqua corrente non è altro che il risultato di campagne pubblicitarie rilanciate a tambur battente su larga scala. Continua infatti Gleick: “Le più grandi società producono regolarmente campagne pubblicitarie che direttamente o indirettamente criticano la qualità dell’acqua di rubinetto”.

Un business molto redditizio

Pur non essendo usciti mai dati precisi riguardo la redditività del mercato dell’acqua imbottigliata, Ria novosti riporta che secondo alcuni esperti tali ricavi sono paragonabili a quelli del traffico di droga.

L’articolo del sito russo riporta anche un esempio concreto: nel documentario americano “Flow: for the love of water” del 2011 si afferma che la Nestlé waters verso gli inizi del 2000 acquisì il diritto di estrarre acqua dalle fonti del Michigan per 99 anni, pagando 70.000 dollari, più o meno 707 dollari all’anno, per un ricavo che oggi supera gli 1.8 milioni al giorno.

La vendita dell’acqua in bottiglia è, dunque, il capolavoro illogico e paradossale del mercato moderno, radicatosi talmente a fondo nella società che la soluzione più sensata, quella di bere acqua del rubinetto, è scartata a priori, per motivazioni inesistenti e oltretutto economicamente svantaggiose.

Già Antono Rosmini agli inizi dell’800 affermava che il nuovo modello economico-sociale, che già si profilava, avrebbe prodotto una società capace di “suscitare bisogni nel consumatore per aumentare il consumo dei beni e con ciò la produzione”.