Amos Yadlin: positivo l'accordo sul nucleare iraniano
Tempo di lettura: 2 minutiAmos Yadlin è stato a capo dell’intelligence militare di Israele ed è stato indicato come ministro della Difesa in un’eventuale governo guidato dell’alleanza di centro-sinistra nelle recenti elezioni politiche israeliane (vinte invece da Netanyahu). Ex pilota dell’aviazione di Tel Aviv, fu uno dei protagonisti del bombardamento del reattore nucleare di Osirak in Iraq.
Intervistato sul sito Al Monitor il 3 aprile sull’accordo tra Washington e Teheran riguardante il nucleare iraniano, ha affermato: «Se aspiriamo a un mondo ideale e sogniamo che tutte le giuste richieste di Israele vengano soddisfatte, allora di certo l’accordo non risponde a questo criterio […] Ma c’è un altro modo di guardarlo, cioè esaminare la situazione attuale e le alternative. Considerando che l’Iran oggi ha 19mila centrifughe, l’accordo prevede un pacchetto di misure abbastanza buone [tra l’altro la riduzione del numero di centrifughe a seimila ndr]. Uno dovrebbe chiedersi cosa sarebbe successo se, come volevano Netanyahu e Steinitz [il ministro uscente dell’intelligence, del Likud ndr], i negoziati fossero andati male. Se fosse accaduto, l’Iran avrebbe potuto decidere il breakout [cioè di mettersi a costruire l’atomica ndr.], ignorare la comunità internazionale, rifiutare di rispondere alle domande sul proprio arsenale, continuare ad arricchire l’uranio e mettere insieme una bomba prima che avessimo il tempo di reagire. Tenendo questo a mente, non è un cattivo accordo».
«Al contrario di quanto detto da Israele, gli iraniani hanno rispettato tutte le condizioni dell’accordo ad interim, nella lettera e nello spirito, fino all’ultimo dettaglio. C’è un’altra cosa da tenere a mente. Se implementeranno i principi del nuovo accordo nello stesso modo, allora per quindici anni saranno congelati allo stato attuale, cioè a un anno di distanza dalla capacità di realizzare una bomba, e non mi pare che questo sia un risultato da sottovalutare».
«Ci potrebbero essere ostacoli sulla strada dell’accordo [finale, quello da firmare entro giugno ndr.], ma nel complesso non mi pare che qui stiamo facendo i conti con una tragedia, con un “secondo Olocausto”. Certo, sarei felice se non rimanesse neppure una centrifuga in Iran e, eventualmente, che cambiasse anche il regime degli Ayatollah. Ma non sono obiettivi raggiungibili. Ragioniamoci: in fin dei conti, neppure un attacco americano sarebbe in grado di allontanare per quindici anni l’Iran dalla bomba atomica. E allora perché non congelare la situazione attuale per quindici anni – senza far ricorso a una guerra? […] Non c’è motivo di cedere al panico. Il destino di Israele non è compromesso, la nostra libertà non è in pericolo e, tutto sommato, stiamo parlando di un accordo che ha ottenuto parecchi risultati».