15 Gennaio 2025

L'arresto del presidente della Corea del Sud e l'avvento di Trump

Yoon è stato arrestato, a un mese dal tentato golpe. Gli è stato fatale il venir meno dei suoi sponsor Usa. E la spinta di Trump a distendere i rapporti con Russia e Cina
di Davide Malacaria
L'arresto del presidente della Corea del Sud e l'avvento di Trump
Tempo di lettura: 5 minuti

Alla fine Yoon Seok Yeol è stato arrestato, dopo più di un mese dal tentativo dell’ex presidente sudcoreano di mettere a segno un colpo di Stato, fallito dopo poche ore per l’opposizione di gran parte del Parlamento. Finora era riuscito a scamparla, sia per la complicità di parte del suo partito, sia per l’appoggio degli apparati, ma soprattutto per quello dei circoli neocon e liberal degli Stati Uniti, che avevano appoggiato il golpe nel tentativo di dare inizio a una guerra tra Seul e Pyongyang (vedi Piccolenote).

Corea del Sud: il golpe e la guerra contro la Corea del Nord

Il primo tentativo di arrestarlo è stato respinto, con i funzionari che gli dovevano consegnare il mandato di arresto respinti da circa trecento mercenari che presidiavano la sua abitazione e dai suoi sostenitori. Il secondo, di ieri, è andato a segno.

Il regime-change negli Usa e l’arresto di Yoon

Nel consegnarsi ai magistrati, Yoon ha dichiarato che la sua disponibilità a confrontarsi con un’inchiesta che giudica illegittima è motivata dalla volontà di evitare uno spargimento di sangue. Insomma, non una resa, ma la semplice constatazione che non poteva fare altrimenti, ché i rapporti di forza non lo favoriscono, dal momento che è ovvio che se avesse ritenuto che il bagno di sangue avrebbe avuto l’esito di salvarlo non l’avrebbe evitato (anche perché, il golpe prevedeva un bagno di sangue…).

Detto questo, è alquanto ovvio che l’arresto deve essere messo in relazione al depotenziamento dei suoi sponsor internazionali, cioè al cambio di guardia alla Casa Bianca, con il nuovo inquilino non solo disinteressato ad aprire nuovi fronti, ma che potrebbe ripetersi per quanto riguarda la penisola coreana, provando ancora una volta, magari in altra forma, a rappacificare l’America con la Corea del Nord, un’iniziativa che aveva tentato nella scorsa presidenza aprendo la strada a una distensione tra Seul e Pyongyang, andata in frantumi con l’amministrazione Biden.

Di quest’ultima, nefasta, rottura abbiamo accennato nell’articolo di Piccolenote citato in esergo, mentre c’è da aggiungere che il golpe di Yoon e la guerra tra Corea del Nord e Corea del Sud che sarebbe conseguita aveva vari obiettivi, che elenchiamo in ordine sparso.

Si trattava di creare difficoltà a Trump già all’inizio del suo mandato, che sarebbe iniziato con la necessità di gestire una crisi internazionale a rischio globale, anche perché la guerra avrebbe interessato da vicino la Cina, che avrebbe visto le bombe cadere nei pressi dei suoi confini, se non all’interno, e ovviamente la Russia, che ha appena siglato un partenariato strategico globale con Pyongyang.

La crisi avrebbe quindi creato nuove conflittualità tra Stati Uniti e Russia, rendendo più arduo il rapporto tra Trump e Putin, che ambedue vogliono ristabilire al più presto (cioè quando sarà possibile). Ma avrebbe anche reso ancora più tesi i rapporti tra Washington e Pechino, che Trump vorrebbe non conflittuali, come ha detto durante la campagna elettorale e come denota l’invito rivolto a Xi Jinping a presenziare al suo insediamento.

Trump e l’invito a Xi

L’invito ovviamente non è stato accettato, perché la presenza di Xi sarebbe stata usata dagli antagonisti degli Imperi d’Oriente per parlare di una incrinatura nei rapporti tra l’imperatore della Terra di mezzo e Putin e denunciare l’isolamento dello zar.

Narrazioni non vere, ma che avrebbero messo a rischio cose, dal momento che la confusione è una delle armi di distruzione di massa predilette da neocon e liberal, usata a piene mani per le loro oscure manovre (come dimostra la narrazione sul sodalizio indissolubile, quanto inesistente, tra Netanyahu e Trump, che quasi tutti, anche i critici del premier israeliano, credono esista grazie a tale grancassa).

Rifiuto quindi obbligato, quello di Xi, come è sorprendente l’invito per quanti non hanno dato peso alle aperture verbali di Trump. Ma non per questo l’apertura formale del futuro presidente Usa è stato negletta, tanto che Xi ha comunicato che invierà all’insediamento un delegato di alto livello.

China's Xi to send top-level envoy to Trump's inauguration, FT reports

Per Trump non si tratta solo di mosse geopolitiche. Vero, l’America First, cioè il ritiro americano dal mondo per concentrarsi sulla crescita, forse anche geografica, dell’Impero, abbisogna di accordi con Cina e Russia per ripristinare l’equilibrio necessario a chiudere la stagione della guerra perpetua e i rischi di uno scivolamento nel conflitto nucleare (en passant, la guerra perpetua era il sottofondo necessitato dell’Impero globale, solo apparentemente tripartito, del profetico “1984” di George Orwell).

Ma l’intesa con Cina e Russia gli serve anche a sopravvivere: avendo ingaggiato uno scontro alzo zero con lo Stato profondo e l’establishment che ha dominato il mondo nel post ’89, gli servono sponde, anche esterne, altrimenti non sopravviverà (e, nonostante tutte le precauzioni, il rischio perdura).

Musk, la Cina e l’odio di Bannon

Ma, se è Trump a gestire direttamente l’approccio con Putin, per quanto riguarda la Cina gli è essenziale Elon Musk, dal momento che, mentre alcuni influenti circoli americani che lo sostengono ritengono dannoso il conflitto con la Russia, sono convinti che questo vada chiuso proprio per concentrare le forze contro la Cina, il vero competitor globale degli Usa.

Tanto che, nella presidenza pregressa, se Trump ha potuto aprire spiragli di distensione nei confronti di Putin, presto richiusi, non è riuscito a fare altrettanto con la Cina, anche se ha tentato anche allora.

Ci vuole riprovare, con più convinzione stavolta, anche grazie all’appoggio di Musk, che ha ottimi rapporti con la Cina (significativo anche, in tal senso, anche che Pechino sembra che stia riflettendo sulla possibilità di vendere a Musk Tik Tok, se il social verrà vietato negli Usa).

Proprio l’importanza che Trump ascrive a Musk per avviare rapporti meno conflittuali con la Cina è il vero motivo dell’odio che il patron della Tesla si sta attirando anche nell’ambito di taluni circoli Maga – che si somma a quello irriducibile dei nemici di Trump – con Steve Bannon, che coltiva un odio irriducibile per la Cina, che gli ha dichiarato guerra e si è detto convinto di poterlo allontanare dalla Casa Bianca.

Demolire Elon Musk è la missione “personale” di Steve Bannon

Quadro complesso, ma anche no. Resta che l’avvento di Trump sta creando momenti di distensione ancora prima del suo insediamento, in Medio oriente come nella penisola coreana.

Non ne scriviamo perché gli ascriviamo poteri taumaturgici. Semplicemente Trump, e i circoli di potere che lo sostengono – alcuni dei quali potrebbero sorprendere, vedi le aperture di Sanders e altro -, ritengono sia più utile agli interessi americani chiudere le guerre infinite. E, per chiuderle, è necessario attutire le conflittualità, creare spazi di distensione e di pace.

Bernie Sanders says ‘Elon Musk is right’ about needing ‘change’ in military spending Read more at: https://www.miamiherald.com/news/nation-world/national/article296429624.html#storylink=cpy