L'assalto a Capitol Hill e il mistero dei suicidi seriali
Tempo di lettura: 3 minutiIl Dipartimento di polizia di Washington D.C. ha dichiarato che l’agente Kyle DeFreytag, in servizio durante l’assalto a Capitol Hill, si è suicidato. Non una rivelazione, ma una conferma di quanto rivelato da WUSA9, un network collegato alla CBS, che per primo aveva dato la notizia del suicidio dell’agente, avvenuto il 10 luglio scorso (The Hill).
Una notizia che evidentemente era stata tenuta riservata e che, a fronte della rivelazione di WUSA9, non poteva più rimanere tale.
Una conferma arrivata, aggiunge The Hill, nello stesso giorno in cui si è avuta la notizia del suicidio dell’agente Gunther Hashida, anche lui in servizio durante l’assalto del 6 gennaio.
Lo “stress” di Capitol Hill
Sale così a quattro il numero degli agenti in servizio quel tragico giorno che si sono tolti la vita, dato che questi ultimi vanno ad aggiungersi agli agenti Jeffrey Smith e Howard Liebengood, morti suicidi alcuni giorni dopo i fatti (Piccolenote).
Secondo le autorità, le prime due morti erano state causate dallo shock subito quel giorno, uno stress post traumatico o qualcosa del genere. Stress che ora sembra aver colpito a distanza, falciando altre due vite.
In realtà, non convinceva molto la spiegazione, allora, e anche le autorità devono averla ritenuta debole, se hanno deciso di tenere riservato il suicidio del terzo agente, rivelato solo dopo lo scoop mediatico.
C’è qualcosa di strano in tutto questo, com’è strano tutto quel che si muove attorno a quel giorno, sul quale è stata creata una consolidata narrativa ufficiale, tanto rigida quanto immodificabile.
Come dimostra, ad esempio, la narrazione della morte dell’agente Brian Sicknick, che è stato celebrato come eroe della resistenza anti-fascista per esser morto a causa di una ferita ricevuta quel giorno, provocata, secondo la narrativa, da un colpo di estintore.
Versione ufficiale smentita altrettanto ufficialmente dai medici, che dopo l’autopsia hanno escluso che l’agente avesse ricevuto colpi, concludendo che il suo decesso era stato causato presumibilmente da un ictus, come d’altronde aveva detto anche la famiglia, che, dopo i fatti, aveva ricevuto una telefonata dal loro caro che li rassicurava sul suo stato di salute.
Nonostante questo, nella narrativa mainstream e della politica Usa Sicknick è ancora ufficialmente perito a seguito delle percosse ricevute nell’adempimento del suo dovere, per difendere il Campidoglio dall’orda fascista.
Una narrativa rigida e immodificabile, appunto, che sarà consolidata dalla Commissione d’inchiesta della Camera istituita per indagare sull’accaduto, composta da esponenti democratici e da due repubblicani ferocemente anti-Trump, Liz Cheney e Adam Kinzinger.
Il Gop ha boicottato la Commissione, ritenendo che non avesse la necessaria indipendenza per indagare sui fatti, cosa peraltro oggettiva, limitando però, in tal modo, il suo ruolo alla mera critica di quanto emergerà in quella sede, che sarà ovviamente in linea con la narrazione ufficiale.
E però, tale Commissione, con l’adesione della Cheney e di Kinzinger, assume una veste bipartisan, e le sue conclusioni saranno consegnate alla storia come verità consolidata.
Tutto ciò ricorda da vicino, mutatis mutandis, la Commissione Warren, che consegnò alla storia la dinamica e le causali dell’omicidio Kennedy, compreso il famoso proiettile magico, responsabile di diverse ferite ricevute dal presidente e dal governatore del Texas John Connally, col quale divideva l’automobile in quel tragico giorno.
Se osiamo un parallelo tanto azzardato, è perché anche diversi testimoni dell’omicidio Kennedy, o che comunque ebbero a che fare con l’accaduto, ebbero in sorte morti avvolte nel mistero.
Ne accennava il film “JFK”, per citare una fonte ben documentata e di facile accesso, girato nel 1991 da Oliver Stone. Regista controverso e non consegnato alle verità ufficiali, ha prodotto un nuovo film sull’assassinio, che ha partecipato al festival di Cannes, “JFK Revisited: Through the Looking Glass”, silenziato da media e social.
Al di là della digressione e delle suggestioni del caso, troppo spesso liquidate con tragica faciloneria come complottismo (parola magica per eludere legittime domande), resta il mistero dei suicidi seriali dei poliziotti di Capitol Hill, che lo stress traumatico spiega a quanti si accontentano di comunicati ufficiali e ricostruzioni d’accatto. Per quel che ci riguarda, queste morti, queste vittime, interpellano. E non poco. Restiamo in attesa di spiegazioni più convincenti.