L'assassinio di due israeliani e il rebus di Gaza
Tempo di lettura: 3 minutiIeri un palestinese ha ucciso due cittadini israeliani. La tensione tra Israele e Palestina sale al parossismo.
Attacco alla convivenza
L’attacco è avvenuto nella regione di Barkan, nella Cisgiordania occupata, dove lavorava il palestinese, il quale era riuscito a far passare una pistola attraverso le strette maglie del check point israeliano.
I militari hanno giustificato tale grossolana inosservanza spiegando che l’enorme flusso di palestinesi che ogni giorno va a lavorare a Barkan non permette controlli accurati (timesofisrael).
L’attacco non era solo contro gli odiati israeliani, ma anche contro le residue speranze di convivenza tra questi e i palestinesi.
Infatti, a Barkan lavorano fianco a fianco, come spiegato dal presidente del consiglio dei coloni della Samaria Yossi Dagan.
“Proprio il mese scorso – scrive Jabob Magid su Timesofisral – Dagan aveva parlato con orgoglio a Bruxelles […] di Barkan, dove circa metà dei 7.200 lavoratori delle 164 fabbriche sono palestinesi e metà ebrei”.
Una convivenza che aveva evitato attentati, aveva aggiunto Dagan. Ieri la tragica smentita.
Dagan ha dichiarato che l’oasi di convivenza resterà invariata. Ma le cose son cambiate.
Anche perché l’attacco cade in un momento critico. infatti è avvenuto, per coincidenza temporale forse non casuale, subito dopo il ridispiegamento dell’esercito israeliano ai confini di Gaza.
I disperati di Gaza
Un rafforzamento “su vasta scala”, ha comunicato il Capo di Stato Maggiore Gadi Eisenkot, per contrastare il terrore che da mesi vola su palloncini incendiari inviati oltreconfine dai disperati di Gaza.
Una mossa che prelude a cose non buone. Peraltro ieri Netanyahu ha affermato di prepararsi a una nuova campagna contro Gaza.
Una campagna che potrebbe rendersi “inevitabile”, ha detto, se la situazione umanitaria della Striscia peggiorasse: la disperazione potrebbe innescare una rivolta (cornuti e mazziati, detto in napoletano).
E la situazione è destinata a peggiorare, dato che Trump ha tagliato i fondi all’Unrwa, l’Agenzia Onu preposta ad assistere i palestinesi.
Una mossa legata al nuovo piano di pace degli Stati Uniti, che prevede di strozzare i palestinesi per fargli accettare l’inaccettabile.
Del piano si sta occupando il nefasto genero di Trump, Jared Kushner, che in questi giorni è volato in Giordania a chiedere al re di appoggiare le misure draconiane previste, ricevendo un secco “no” (Foreign Policy).
A rendere ancora più precaria la situazione di Gaza sta contribuendo il Qatar, legato a doppio filo alla Turchia, che, con Erdogan, sta cercando di proporsi come protettore dei palestinesi in sostituzione dei loro legittimi leader.
Doha, infatti, ha rifiutato di tagliare gli aiuti a Gaza, come da diktat Usa, ma ha deciso di farli transitare tramite Israele e non più dalla Cisgiordania.
Cosa che ha fatto infuriare il presidente della Palestina Abu Mazen, che vi vede un tentativo di “comprarsi” la Striscia e di allontanarla ancora di più dalla Cisgiordania. Da qui la decisione di Abu Mazen di tagliare a sua volta i sussidi per Gaza.
Rebus complesso quello della Striscia. L’eccidio di ieri getta benzina sul fuoco.
Peraltro avviene in un momento critico per Netanyahu. L’invio degli S-300 russi mette in stallo la guerra ombra ingaggiata contro Teheran e Damasco.
Netanyahu potrebbe esser tentato di rompere lo stallo aggiungendo nuova criticità nella regione. Una guerra di Gaza potrebbe servire allo scopo.
E se anche non riuscisse a sbloccare la situazione, una campagna che ponesse fine al lancio dei palloncini incendiari, diventata un’ossessione per i media di Tel Aviv, potrebbe ridar lustro alla sua immagine, ora appannata dallo stallo suddetto.