27 Novembre 2020

Attaccare Teheran?

Attaccare Teheran?
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In quest’ultimo scorcio della presidenza Trump c’è il rischio di un ultimo atto di forza contro l’Iran. Ne stanno scrivendo in tanti, tra cui David Ignatius, in un articolo del Washington Post che merita attenzione.

L’allarme non è nuovo. Alcuni giorni fa, l’indiscrezione di una riunione segreta del presidente Trump con i vertici militari e della diplomazia Usa, nella quale si è preso in esame l’idea di lanciare un raid contro le strutture nucleari di Teheran, poi scartata (Piccolenote).

Ma a quanto pare l’ipotesi circola ancora, spiega Ignatius che accenna a due segnali inquietanti. Alcuni giorni fa lo spostamento di “una task force di bombardieri B-52” dalla base di Minot, North Dakota, in Medio Oriente. Ed è probabile che questa settimana “la Marina inizi a spostare una task force di portaerei verso il Golfo Persico”.

Spiegamenti militari necessari alla deterrenza verso possibili attacchi iraniani, spiegano le fonti Usa, ma che rimandano a manovre simili di un anno fa. Manovre che quasi portarono alla guerra, per fortuna frenata da Trump (che però non ha potuto impedire il successivo assassinio del generale Solemani, che ha reso impossibile riannodare fili).

La finestra per un attacco si sta chiudendo

Il problema, scrive Ignatius, è che con la vittoria di Biden, “i falchi anti-Iran negli Stati Uniti e in Israele vedono chiudersi la finestra sulla possibilità di un attacco preventivo USA-Israele contro il programma nucleare iraniano. I sostenitori di un simile attacco sono il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e alcuni funzionari assertori della linea dura che attorniano Trump”.

“Diversi addetti ai lavori – aggiunge Ignatius – sottolineano che Trump non vuole un nuovo conflitto in Medio Oriente che minerebbe quella che ritiene la sua eredità, cioè la chiusura delle guerre ‘infinite’“. Ma, allo stesso tempo, i falchi stanno facendo pressione per intensificare la pressione su Teheran e del caso attaccarla prima che la finestra si chiuda, cioè il 20 febbraio, con l’insediamento della nuova amministrazione (ma la vittoria di Biden è ancora ufficiosa).

L’attacco, continua il cronista, trova contrari “alti ufficiali militari sia negli Stati Uniti che in Israele, i quali temono una reazione a catena che lascerebbe tutte le parti in condizioni peggiori delle attuali. Un ex alto funzionario della difesa avverte che l’idea di un attacco chirurgico pulito, limitato’ contro gli impianti nucleari iraniani è una follia; la guerra non funziona così“.

Peraltro, come scusa per urgere l’attacco, i falchi stanno usando il fatto che Teheran ha provveduto ad arricchire in maniera eccessiva l’uranio, un modo per far pressione sull’Occidente per rientrare nell’accordo stracciato da Trump ed eliminare le sanzioni assassine.

E però, spiega ancora Ignatius, “le agenzie di intelligence statunitensi avvertono anche che, nonostante i preoccupanti rapporti dell’AIEA [l’Agenzia per l’energia atomica ndr.], l’Iran resta a molti mesi di distanza dalla possibilità di schierare una bomba”.

Insomma, c’è tutto il tempo per Biden per ripristinare l’intesa precedente, come ha asserito di voler procedere e come peraltro sta incessantemente chiedendo Teheran. Tale convergenza, se da una parte conforta, dall’altra allarma quanti vogliono a tutti i costi questa guerra.

Il momento critico di Netanyahu

Motore immobile di questa spinta bellica, come scrive Ignatius, è Benjamin Netanyahu, che in questi giorni sta attraversando un momento di flessione. Il suo grande successo diplomatico, il riconoscimento dello Stato di Israele da parte di alcuni Paesi arabi sunniti, non è sufficiente a evitare scossoni al suo governo.

Le forze di opposizione si sono coalizzate per portare al parlamento un voto di sfiducia che, se troverà l’adesione del partito Blue & Withe, alleato di Netanyahu, lo detronizzerà.

Benny Gantz, leader di Blue & Withe freme: irritato perché il suo partito è stato tagliato fuori, benché al governo, dai negoziati con i Paesi arabi, e per altre diatribe collaterali, ha aperto un’inchiesta parlamentare sulla compravendita di alcuni sottomarini, scandalo che da tempo perseguita il premier.

E alcuni esponenti di punta del suo partito hanno riferito che probabilmente voteranno la mozione di sfiducia che la prossima settimana sarà portata in aula dalle opposizioni (Timesofisrael).

Mozione alla quale ha annunciato la sua adesione anche il partito di ultra-destra Yamina, storico partner-rivale del Likud di Netanyahu. Così è possibile che il premier si ritrovi sfiduciato, tanto che ha già iniziato a parlare di elezioni.

Al solito, Netanyahu crede di poter superare la tempesta, complicata dal cambio di guardia alla Casa Bianca. Infatti, se la presidenza Biden andrà in porto, avrà meno amici da quelle parti.

C’è da tener presente che in momenti di crisi egli ha sempre usato la politica estera come arma di distruzione di massa contro i suoi avversari interni. Così l’ipotesi di un attacco simbolico Usa-Israele contro Teheran diventa, da impossibile, possibile, anche se ancora altamente improbabile.

Ma al netto dell’ipotesi, resta che i falchi anti-Iran che siedono nell’amministrazione Usa stanno varando leggi che rendono più complicato il ritorno degli Usa nel trattato nucleare iraniano.

Bombe a tempo che scoppieranno in mano a Biden e che Trump, impegnato nella sua battaglia legale per ribaltare il voto, peraltro sempre più in salita, non può disinnescare.

Ps. Terroristi (?) hanno assassinato Mohsen Fakhrizadeh, responsabile del programma nucleare iraniano… 

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