22 Gennaio 2025

L'attacco alla Cisgiordania e i segnali di Trump all'Iran

Trump nomina DiMino come responsabile per il Medio oriente del Pentagono. Al Monitor ricorda il suo rigetto per un attacco contro Teheran
di Davide Malacaria
L'attacco alla Cisgiordania e i segnali di Trump all'Iran
Tempo di lettura: 5 minuti

Fermato lo sterminio di Gaza, Israele ha aperto le porte di Giano in Cisgiordania, con un attacco massivo contro Jenin che ha causato 10 vittime, 40 feriti e decine di arresti (che compensano quelli liberati nell’accordo con Hamas…). L’attacco ha fatto seguito alle violenze contro i palestinesi di Al-Funduq, con le milizie dei coloni che distruggevano e incendiavano quanto gli capitava a tiro.

Witkoff a Gaza

Le violenze dei coloni trasformati in “terroristi ebrei”, come annota il duro editoriale di Haaretz, prodromiche all’azione dell’esercito, hanno avuto il nulla osta del nuovo ministro della Difesa Israel Katz e il sigillo dell’ambasciatrice Usa all’Onu, Elise Stefanik, che ha parlato di “diritto biblico” di Israele sulla Cisgiordania.

Netanyahu's Gov't and Trump Administration Greenlight Jewish West Bank Terror L'ambasciatrice di Trump all'Onu sostiene il 'diritto biblico' di Israele di prendersi tutta la Palestina

Quanto sta accadendo in Cisgiordania non promette nulla di buono anche per Gaza, anche se è di oggi la notizia che Steve Witkoff – l’inviato di Trump per il Medio oriente che ha costretto Netanyahu all’accordo con Hamas – si recherà nella Striscia per monitorare il cessate il fuoco.

Ciò segnala che i dubbi di Trump sulla durata della tregua espressi in questi giorni non erano un via libera alla ripresa del conflitto, come da preoccupazioni più che legittime, ma tutt’altro. Resta che la riuscita della mission di Witkoff è incerta, data la pressione dei falchi pro-Israele che Trump ha imbarcato nella sua amministrazione in un compromesso con la destra ebraica (che ha ritenuto necessario alla sua già precaria sopravvivenza).

Purtroppo, il dramma dei palestinesi è destinato a durare, né Trump può risolverlo da solo: serve il mondo, cioè Cina, Russia ed Europa (con la leadership di quest’ultima allineata e coperta con il governo israeliano). Solo un’azione globale, in combinato disposto con la parte più ragionevole dell’ebraismo (israeliano e non), può porre un freno alla follia che sta dilagando in Israele. Sul punto, si può solo sperare.

L’altro tema focale del Medio oriente resta l’Iran, con i circoli che spingono per il “nuovo Medio oriente” a trazione israeliana che premono per un attacco congiunto Tel Aviv-Washington contro gli impianti nucleari di Teheran o, in alternativa, per il ritorno alla politica della massima pressione contro l’Iran, che secondo tali ambiti riuscirebbe solo se accompagnata da una seria minaccia di attacco.

Va da sé che la massima pressione esercitata in parallelo ai preparativi di un’azione militare non può che terminare con quest’ultima, che sarebbe inevitabile perché a tal fine verranno sabotati i negoziati con Teheran, esercizio facilissimo per i falchi anti-Teheran, i quali vantano diversi successi in tal senso, registrati sia durante la prima presidenza Trump che nel corso della presidenza Biden.

Bersaglio Iran

Sulla criticità Usa-Iran, un interessante articolo di Jared Szuba su al Monitor: “L’amministrazione Trump ha nominato Michael DiMino, ex agente antiterrorismo della CIA e sostenitore di un approccio moderato nei confronti dell’Iran, come responsabile della politica del Pentagono per il Medio Oriente”.

Trump's pick for Pentagon Mideast policy chief signals Iran strategy shift

“[…] DiMino era un membro di Defense Priorities, un think tank finanziato da Koch che promuoveva la moderazione nell’impegno dell’esercito statunitense in politica estera”.

Al monitor aggiunge che la nomina “a sorpresa” di DiMino come vice assistente segretario alla difesa per il Medio Oriente è importante perché egli “si differenzia dalle altre scelte di Trump per le sue critiche alle politiche di Israele nella regione”.

Insieme al numero tre del Pentagono, Elbridge Colby, DiMino ritiene che sia necessario un ridispiegamento strategico delle truppe statunitensi in Medio oriente perché esse “sono dei sacchi da boxe facilmente accessibili per l’Iran, che può così alimentare le tensioni nella regione ogni volta che gli fa comodo”.

“Quelle truppe dovrebbero essere immediatamente ridistribuite in centri più grandi e sicuri nell’area di responsabilità del Comando Centrale, in modo che la nostra posizione di forza in Medio Oriente non sia costantemente tenuta in ostaggio dai capricci dei nostri avversari”.

DiMino e le divergenze Usa-Israele

“DiMino – prosegue al Monitor – aveva duramente criticato l’amministrazione Biden per non aver fatto pressione su Israele affinché aprisse il flusso di aiuti umanitari a Gaza, elogiando al contempo la precedente amministrazione per essersi rifiutata di unirsi agli attacchi di rappresaglia di Israele contro l’Iran“.

Inoltre, aveva affermato che “il regime-change imposto dall’estero il più delle volte fallisce”, rigettando così le tesi dei sostenitori di tale opzione contro Teheran. “Se esiste una preoccupazione sul fatto che l’Iran potrebbe già avere dispositivi nucleari a basso rendimento, c’è da chiedersi [in caso di regime-change] dove andranno a finire questi dispositivi? In quali mani cadranno? Vogliamo davvero che i generali iraniani rivali si combattano per il materiale fissile?”

“In qualche modo, l’Iran è contenibile. È un problema sul quale abbiamo molta esperienza e, benché sia una minaccia, non è una minaccia primaria per gli Stati Uniti. Gli israeliani potrebbero avere opinioni diverse al riguardo, ma sul punto gli interessi degli Stati Uniti e di Israele divergono“.

Così si spiega il titolo dell’articolo di al Monitor: “L’uomo scelto da Trump come capo della politica mediorientale del Pentagono segnala un cambio di strategia sull’Iran”.

La normalizzazione di Bolton

Da notare che, in parallelo alla nomina di DiMino, Trump ha negato le autorizzazioni di sicurezza a 51 funzionari dell’intelligence che, al tempo, avevano firmato una missiva nella quale si affermava che la storia del computer di Hunter Biden contenente materiale compromettente era una manovra russa. Una mossa per impedire indagini in proposito e che evitò a Biden dolorose seccature durante la campagna presidenziale che si concluse con la sua vittoria.

Trump Revokes John Bolton’s Secret Service Protection

La storia del computer invece era vera, come poi si è visto, e la Russia non c’entrava nulla. Se riferiamo la vicenda è soprattutto perché tra i 51 funzionari allontanati dalle stanze dei bottoni c’è anche l’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, al quale, subito dopo, Trump ha revocato anche la protezione dei servizi segreti.

Lo annuncia in un articolo dolente il New York Times, ma non c’è che da rallegrarsi per la normalizzazione di un tale guerrafondaio, il cui destino dovrebbe essere presso le patrie galere. Al di là della digressione, la mossa di Trump, che non è passata affatto inosservata – come denota l’articolo del Nyt – ha tutta l’aria di un segnale rivolto all’Iran.

Fu Bolton, infatti, in combinato disposto con Netanyahu, a costringere Trump a stracciare l’accordo sul nucleare iraniano. E sempre Bolton a spingere per l’assassinio del Capo dei Guardiani della rivoluzione, il generale Qassem Soleimani (probabilmente all’insaputa di Trump, come spiegava al tempo Giulietto Chiesa). A Teheran avranno registrato la mossa con soddisfazione.

Soleimani, parla G. Chiesa: ''Usa uccide, ma i guai sono dell'Europa''

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