L'attacco a Israele in un Medio oriente cambiato
Mentre Israele informa il mondo che risponderà all’attacco iraniano, anche se sembra in maniera tale da evitare la grande guerra (cosa tutta da vedere dal momento che l’Iran ha detto che, nel caso, risponderà), proponiamo l’analisi di Peter Akopov pubblicata su Ria Novosti che ci appare alquanto lucida, anche se forse un po’ troppo deterministica. C’è un imponderabile, dato anche dalla follia di cui hanno dato dimostrazione negli ultimi tempi i falchi Usa e israeliani, che andrebbe comunque tenuto presente.
“Situazione sorprendente – scrive Akopov – quasi tutto il mondo chiede a Israele di non rispondere all’attacco iraniano, perché si trattava di una risposta all’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, e allo stesso tempo tutti si interrogano sui probabili scenari di una risposta israeliana”.
Israele e il dilemma di Netanyahu
“Israele colpirà il territorio iraniano nei prossimi giorni o preferirà vendicarsi contro gli alleati dell’Iran in Libano? La domanda non è futile. In caso di attacco all’Iran, seguirà un attacco di ritorsione che, come promesso da Teheran, sarà molto più potente dell’attacco del 14 aprile. Se Israele e i suoi alleati non riusciranno a respingerlo, come hanno fatto domenica scorsa, inizierà un’escalation incontrollabile, che potrebbe arrivare all’uso delle armi nucleari da parte dello Stato ebraico” [per questo oggi al Manar ha ripubblicato la notizia degli attacchi hacker alla centrale atomica di Dimona: un modo per dissuadere Tel Aviv dall’uso dell’atomica ndr.]
“Quasi tutti vogliono evitare tale scenario tranne che i falchi più sclerotizzati americani e israeliani. E la comunità mondiale ha buone possibilità di prevenirlo, ed è per questo che non ci sarà alcun massiccio attacco israeliano contro l’Iran (e soprattutto contro i suoi impianti nucleari). Cosa accadrà allora?”
“Avrà inizio una nuova realtà in Medio Oriente in generale e in Israele in particolare. Questa nuova realtà, infatti, si è palesata il 7 ottobre dello scorso anno, ma il processo della sua formazione si è concluso il 14 aprile. Dopo aver lanciato un’operazione nella Striscia di Gaza, Israele ha messo in gioco tutto e, in sei mesi, non è riuscito a sconfiggere o a espellere i palestinesi”.
“La consapevolezza dell’impasse ha costretto Netanyahu a ricorrere alla provocazione del 1° aprile. L’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, che ha portato alla morte di un generale iraniano, avrebbe dovuto provocare un’escalation del conflitto, costringere cioè Teheran ad attaccare Israele (almeno dal territorio del Libano o della Siria), dopo di che Netanyahu avrebbe chiesto l’intervento e il sostegno americano nell’operazione contro gli Hezbollah libanesi e per proseguire l’operazione di Gaza”.
“Ma non era possibile ingannare l’amministrazione Biden in modo tanto sciocco: Washington aveva capito chiaramente il significato delle provocazioni di Netanyahu [ha inviato un suo generale a Tel Aviv ndr…]. Di conseguenza, l’Iran ha effettuato un attacco dimostrativo contro Israele, e gli Stati Uniti hanno rifiutato di sostenere l’attacco di ritorsione di Netanyahu contro l’Iran. E non solo per quanto riguarda l’Iran: non ci sarà nessun aiuto americano in caso di un attacco al Libano, e senza di esso Netanyahu non oserà avviare tale operazione”.
“Insomma, il primo ministro israeliano si trova in un vicolo cieco, più precisamente, in una sorta di zugzwang, in cui qualsiasi mossa non farà che peggiorare la sua posizione (e quella di Israele). È impossibile attaccare l’Iran, è impossibile attaccare il Libano (entrare in guerra con un nemico molto più forte di Hamas), ed è più difficile proseguire l’operazione di Gaza”.
“L’offensiva promessa su Rafah – che chiuderebbe il confine della Striscia con l’Egitto – non sarà solo molto sanguinosa per l’IDF, ma comporterà anche enormi perdite tra i palestinesi, cosa che alla fine trasformerà Israele, agli occhi di quasi tutto il mondo, in uno Stato genocida”.
La nuova realtà del Medio oriente
L’idea di Tel Aviv era quella di frammentare la Striscia per poterla controllare, ma “quando prevarrà la convinzione che ciò è impossibile, inizierà la tradizionale ricerca di un capro espiatorio e l’amministrazione Biden potrà attuare una combinazione che vedrà la rimozione di Netanyahu associata a una stretta su Israele per costringerlo alla pace. Più precisamente, per trovare opzioni che possano far uscire Israele dall’impasse in cui si è cacciato a Gaza”.
“Ma questo non cancellerà la nuova realtà, perché riguarda l’intero Medio Oriente. Il primo attacco diretto della storia contro Israele dal territorio di uno dei paesi musulmani più forti della regione (dopo la guerra del 1973 ci fu un solo attacco, effettuato dall’Iraq nel 1991, ma avvenne in una realtà geopolitica diversa ed era associato all’inizio dell’operazione americana contro l’Iraq, “Desert Storm”) crea una situazione completamente nuova per Israele”.
“D’ora in poi dovrà confrontarsi non solo con i palestinesi, gli hezbollah libanesi, lo Yemen e la Siria, Paesi distrutti e partner e alleati dell’Iran, ma con la stessa Repubblica islamica. Il tabù degli attacchi diretti dal territorio iraniano è stato ormai superato e Israele ha fatto di tutto per arrivare a questa svolta”.
“Decenni di attacchi terroristici e omicidi di militari e scienziati nucleari iraniani sul territorio dell’Iran e in altri paesi della regione, attacchi missilistici contro gli iraniani in Siria e altre provocazioni simili alla fine hanno portato la situazione a un nuovo livello. L’Iran non si limiterà più a risposte indirette agli attacchi israeliani e Israele dovrà conviverci”.
Tel Aviv ha ancora l’ombrello della difesa americana, scrive Akopov, ma è momentaneo, il mondo sta cambiando. Ma, nonostante tale sviluppo, “le élite israeliane continuano a comportarsi come se a loro fosse tutto permesso. È questo senso di impunità che ha portato al tentativo di avviare una pulizia etnica a Gaza e che consente alle autorità israeliane (e all’opposizione) anche di ignorare le richieste di una giusta soluzione della questione palestinese”.
“[…] Ora questo sentimento di impunità sta svaporando e le possibilità di attuare provocazioni stanno diventando sempre minori. Se Israele vuole sopravvivere come Stato del popolo ebraico, deve fare di più che limitarsi a sostituire Netanyahu. È necessario riconoscere l’avvento della nuova realtà e cambiare, adattarsi ad essa, per dare ai palestinesi l’opportunità di vivere. Non ha alternative: i tentativi di continuare a ignorare la realtà avranno un esito catastrofico”.